C’è stato un tempo, ormai lontano, troppo lontano, in cui il giornalismo aveva altri modi e ritmi, altro stile. Del web ancora neppur si favoleggiava e, quindi, non bastava vergare un pezzo per sentirsi tanti piccoli, invincibili indromontanelli.
Dalla redazione di Barisera mi chiesero di fare il punto della situazione urbanistica a Bitonto. In soldoni, avrei dovuto intervistare un monumento di Palazzo Gentile: l’ingegnere Beniamino Spera (ed io puntavo tutto su quel cognome, lo ammetto). Dando del rispettoso “lei” a tutti, presi appuntamento il lunedì per il venerdì successivo. Mi preparai a dovere, l’occasione era troppo ghiotta per sbagliare domande.
Al centro dello stanzone che mi sembrò immenso, la scrivania austera del responsabile dell’Ufficio tecnico della città. Faldoni, carte e ai lati, ordinatissime, due colonne di documenti, sulle quali mi pareva si reggesse tutta la storia del nostro borgo natio.
L’ingegnere, all’apparenza burbanzoso, fu gentile ed esaudì tutte le mie curiosità con ieratica pacatezza, competenza estrema e garbo antico. Non c’era angolo della nostra Bitonto che non conoscesse, persino nella sua evoluzione nel corso dei decenni.
Ieri, si è interrotto all’improvviso il suo cammino terreno, con grande dolore per i suoi cari, certo, ma pure per i suoi concittadini.
L’ex sindaco Nicola Pice, infatti, lo ha ricordato con queste commosse parole: “Ho appena appreso la morte di Beniamino Spera, una notizia che ti tocca il cuore e ti procura un dolore specie a chi come me ha avuto la fortuna di conoscerlo e giovarsi di una lunga frequentazione per il ruolo ricoperto, lui, l’ingegnere capo dell’Ufficio Tecnico Comunale. Il suo ufficio, la cui volta era velata da una decorazione sulla carta di Francia sapientemente abbellita da Francesco Spinelli, era una sorta di luogo sacro che si caricava di una energia misteriosa: in fondo era soprattutto lì che si definivano i progetti destinati a dar vita alla città. Quella città per cui tante volte si sono accesi gli occhi di Beniamino o si sono aggrottate le sue ciglia. Egli era amante delle nostre radici senza le quali, diceva, nessun futuro è possibile ed era dotato di quella cultura capace di ridare ogni volta una ripartenza per lo sviluppo della città senza rinunciare alla misura e al controllo dello spazio e al traguardo estetico. Il campanile del Santuario dei Santi Medici, le strutture socioassistenziali previste dall’Urban Italia, i lavori al teatro e alla Cattedrale, le strade di città e di campagna, le aree sportive, il recupero di spazi e luoghi del centro storico sono passati attraverso il suo vaglio o conservano tracce della sua progettazione. Ti dava l’impressione di un carattere burbero o magari di una eccessiva lentezza nell’agire, ma poi scoprivi che il suo fare era informato al fare del contadino che conosce la fatica del seminare e la pazienza di aspettare i frutti. In realtà si sentiva rivestito di una responsabilità che lo rendeva sempre vigile a saper secernere il frumento dalla paglia, perché il primo era quello che ti dava il pane, la seconda era quella che si rapportava alla petulante richiesta del ‘politico’ di turno. Non poco della città di oggi contiene la traccia e la memoria di Beniamino Spera. E a lui non si può non esprimere una immensa gratitudine”.
Il dottor Nicola Castro, direttore della Rsa Villa Giovanni XXIII, ha aggiunto: “La notizia della morte dell’ing. Spera mi addolora. Ha sempre avuto a cuore la Fondazione sin dalla costruzione della nuova sede della Villa Giovanni XXIII. Ricordo in particolare il grande supporto tecnico nella realizzazione del Centro Alzheimer e l’apprezzamento e l’ammirazione dei progettisti e direttori dei lavori. Un uomo di grandissima competenza. Sono certo che anche nell’altra vita qualcuno gli chiederà un consiglio e lui troverà la soluzione. Un vero Dirigente che ha insegnato tanto a quanti hanno avuto la fortuna di incrociarlo nella vita istituzionale o professionale. Un Dirigente vero che purtroppo nella pubblica amministrazione non trovi più“.
Pasquale Micchetti, figlio del geometra Michele, che con l’ingegnere ha lavorato per anni, ne ha dipinto il ritratto così fedelmente: “Uomo, onesto, preciso, gentile, sincero, educato“, doti professionali e umane che nessuno mai potrà discutere.