Questa domenica, l’ultima del mese di luglio, la iniziamo così.
Con le prime righe di un articolo di giornale che ha scoperchiato una triste verità taciuta per anni. Una verità che riguardava un numero altissimo di cadaveri che giacevano in fondo al mare.
“Abbiamo trovato la nave del ‘naufragio fantasma’ nelle acque internazionali a 19 miglia da Portopalo di Capo Passero, estremo lembo meridionale della Sicilia e dell’Italia. Abbiamo scoperto il più grande cimitero del Mediterraneo: decine e decine di scheletri avvolti negli stracci a 108 metri di profondità, nel punto del Canale di Sicilia dove da anni i pescherecci di Portopalo non andavano più per non rischiare di lacerare le paranze”.
Quotidiano “La Repubblica”, giugno 2001. Le parole sono di Giovanni Maria Bellu, inviato speciale della testata e che già si era occupato di vicende piccanti come “Gladio” e “Ustica”.
Il relitto cui fa riferimento era quello della F-174, che alle 3 del mattino del dì di Santo Stefano 1996 è andato a picco con 283 giovani uomini di origine pakistana, indiana e tamil, lì stipati in condizioni disumane con un unico obiettivo: raggiungere al più presto l’Italia per ricominciare a vivere. Scene che a distanza di 25 anni non sono per nulla cambiate. Anzi.
Quella notte, invece, hanno trovato soltanto la morte, “bissata” dal fatto che la tragedia è passata completamente sotto silenzio nonostante un centinaio di superstiti – nel frattempo abbandonati dai trafficanti su una spiaggia del Peloponneso e persino arrestati dalla polizia greca – l’avessero raccontato nei dettagli.
Non è stato sufficiente.
Le autorità italiane hanno giudicato le testimonianze inattendibili perché – ragionavano – se un naufragio del genere fosse avvenuto, sarebbero stati ritrovati i corpi delle vittime, ma, invece non ne è stato ritrovato neanche uno. Come era possibile, dunque, tutto questo?
Certo che era possibile e l’articolo del quotidiano romano è stato solo il primo passo. Bellu, poi, ha continuato a scrivere tanto che nel 2004 ha pubblicato “I fantasmi di Portopalo” un libro necessario per conoscere questa triste storia, pagine intense che hanno restituito la verità sostanziale dei fatti.
Sì, perché cinque anni dopo la tragedia il giornalista sardo ha incontrato un pescatore di Portopalo, Salvatore Lupo, l’unico a rompere l’omertà e a raccontargli come sono andate le cose quel 26 dicembre 1996. Si capisce quindi che decine e decine di cadaveri erano stati ritrovati da altri pescatori e poi rigettati in mare, perché l’apertura delle indagini avrebbe compromesso le loro attività danneggiandoli economicamente. Il silenzio sulla verità di centinaia di vite umane è stato preferito in nome del guadagno economico. E avallato non solo dalla piccola comunità siciliana, ma anche dalle istituzioni italiane convinte che se quel gigantesco naufragio fosse finito sulle pagine di tutti i giornali, sarebbe stato una sanguinosa conferma del sospetto che avevano gli altri paesi dell’Unione europea sull’Italia: lo Stivale ponte per dirigersi nel vecchio Continente.
Perché oggi cosa è?
I resti dell’F-124 sono stati ritrovati sempre nel giugno 2001 e filmato da un Remotely Operating Vehicle (Rov), una sfera di plexiglass e di plastica gialla contenente una telecamera
I carabinieri di Siracusa hanno confermato il ritrovamento ma, nonostante l’appello che di ben quattro premi Nobel – Renato Dulbecco, Dario Fo, Carlo Rubbia e Rita Levi Montalcini – il governo italiano non ha mai risposto, tanto che il relitto e i cadaveri che lo circondano sono ancora in fondo al mare.
“I fantasmi di Portopalo sono diventati i fantasmi dell’Europa”, scrive Bellu nel libro. E volume da cui è stata tratta la miniserie di successo della Rai datata 2017 con protagonista Giuseppe Fiorello.