Nel settembre 1920 un attentato alla dinamite a Wall Street, a due passi dalla Banca Morgan e del N. Y. Stock Exchange, ha causato 33 morti e più di 200 feriti. Le indagini effettuate hanno individuato come colpevole l’anarchico romagnolo Mario Buda, immigrato in America dal primo decennio del XX secolo e seguace del gruppo anarchico che faceva capo a Luigi Galleani, gruppo a cui appartenevano anche Sacco e Vanzetti. Le autorità hanno definito l’attentato un atto di guerra e hanno organizzato la più grande caccia all’uomo della storia degli Stati Uniti. E, dettaglio non da poco, ci sono alcune coincidenze con l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle e che rendono drammaticamente attuale questa storia pressoché dimenticata.
Innanzitutto, prima domanda da porsi: perché J.P. Morgan? Difficile stabilire oggi se è stata prescelta in quanto simbolo del capitalismo americano più sfrenato e rapace, o se invece, ad entrare in gioco fu la sua particolare dislocazione urbanistica che la vedeva situata esattamente di fronte ai locali del New York Stock Exchange. Fatto sta che la banca, anche all’epoca, era il bersaglio privilegiato di quello che è stato considerato l’attentato terrorista più devastante della storia degli Stati Uniti d’America.
New York, allora. Mattinata di sole del 16 settembre.
All’angolo tra Wall e Broad Street, nel centro simbolico del capitalismo americano, un oscuro anarchico italiano arresta il proprio cavallo che traina una carretta carica di esplosivo e si allontana velocemente confondendosi tra la folla. Pochi minuti dopo, precisamente a mezzogiorno, una tremenda deflagrazione. Carretta e cavallo sono ridotti in cenere. Le vetrate dei negozi e degli uffici dell’intero isolato esplodono in mille pezzi. La maggior parte degli edifici circostanti prende fuoco e una grossa porzione della House of Morgan è ridotta in rovina. Sembra l’Apocalisse con corpi e brandelli di corpi. Uomini e donne già cadaveri o gravemente feriti.
Il bilancio è di 33 morti e più di 200 feriti, numero che però non riesce nemmeno a dare un’idea dell’inferno prodotto dall’esplosione. Sul piano materiale i danni sono stimati a due milioni di dollari dell’epoca.
Le indagini effettuate si indirizzano immediatamente verso la pista anarchica e ci si basa su alcuni volantini che rivendicano l’attentato, trovati in una cassetta, che però si rivelano assai utili per dare un volto a quell’inferno. Vengono raccolte centinaia di testimonianze, in ogni ufficio di polizia e nei locali pubblici viene affissa la ricompensa a chi fornisca informazioni sugli autori dell’attentato, sono diffuse almeno 3mila foto segnaletiche di altrettanti sovversivi attivi nel paese, centinaia di sospetti vengono arrestati e decine di fabbriferrai interrogati sulla provenienza dei ferri di cavallo ritrovati sul luogo della strage. Per settimane e mesi gli agenti federali si dedicano quasi esclusivamente a questo caso.
Alla fine i sospetti si concentrano su un uomo dal forte accento italiano, non siciliano come si pensava inizialmente ma di un romagnolo. Mario Buda, appunto. Nato a Savignano nel 1884, nel 1907 migra oltreoceano dove si segnala nel partecipare agli scioperi, nell’organizzare la protesta e le manifestazioni che circolavano negli ambienti anarchici e all’organizzazione di una delle tre Scuole anarchiche italiane presenti negli Stati Uniti. Quel 16 settembre agisce dopo aver scoperto che due suoi compagni, Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, sono stati arrestati già ad aprile. È il suo ultimo atto terrorista che Buda esegue sul territorio americano. Una volta compiuta la missione, alcune settimane più tardi salpa in direzione di Napoli su una nave che batte bandiera francese. Alla fine di novembre è di nuovo a casa, nella sua Romagna natia e in Italia, nonostante mille peripezie (e anche pare un ruolo da spia per la polizia fascista), riesce a farla franca e a morire nel 1963 non dando più notizie di sé.
La strage di Wall Street è restata per anni nella memoria dei newyorkesi, fino a scomparire del tutto, effetto della tendenza americana alla cancellazione della storia.