A cinque mesi dalle politiche del 1987, tra l’8 e il 9 novembre 1987, gli italiani tornarono alle urne per un nuovo referendum abrogativo, il quinto, in soli 13 anni. Un referendum che prevedeva cinque quesiti riguardanti giustizia e nucleare.
Il primo quesito chiedeva l’abolizione delle norme alcune disposizioni del vecchio codice di procedura civile del 1940 (il 55, il 56 ed il 74) che dispensavano la magistratura dall’obbligo di rispondere, anche personalmente e patrimonialmente, degli errori commessi. Si chiedeva, in parole povere, una responsabilità civile per i magistrati. Il quesito fu promosso da Partito Radicale, Partito Socialista Italiano e Partito Liberale Italiano, sulla scia del caso giudiziario che vide protagonista Enzo Tortora, il popolare conduttore televisivo arrestato nell’83 con le infamanti accuse di traffico di droga e associazione mafiosa. Accuse inventate ad arte da falsi pentiti, la cui inconsistenza venne provata solo nell’86, quando Tortora fu assolto.
Con il secondo quesito venne proposta l’abrogazione dei primi otto articoli della legge n. 170 del 1978, che disciplinava i procedimenti d’accusa contro il capo dello Stato e i ministri per i reati commessi nell’ esercizio delle loro funzioni. Articoli che regolavano il funzionamento della commissione parlamentare inquirente, atta a decidere sugli eventuali rinvii a giudizio degli imputati davanti alla Corte costituzionale. La legge era accusata di permettere troppe scappatoie ai politici sotto accusa. Fino ad allora, sottolineavano i promotori del quesito, solo due ministri della Repubblica italiana, erano stati rinviati al giudizio dell’Alta Corte. Erano Mario Tanassi e Luigi Gui, per lo scandalo Lockeed (il primo fu condannato, mentre il secondo fu assolto).
Per contrastare i referendum, la Dc tentò la strada delle elezioni anticipate, che furono fissate a giugno. Contrario fu anche il Pci. Ma, dopo le elezioni anticipate, sia i comunisti che i democristiani si schierarono per il sì, temendo un impatto negativo in caso avessero continuato ad osteggiare il quesito referendario. Le uniche forze rimaste a schierarsi per il “no” furono, dunque, il Partito Repubblicano Italiano e Democrazia Proletaria, solitamente su posizioni diverse, come lo furono sugli altri tre quesiti riguardavano la legislazione sulle centrali nucleari. Un tema su cui l’opinione pubblica era fortemente contraria dopo il tragico incidente della centrale nucleare di Cernobyl’ dell’anno precedente.
Il primo di questi ulteriori tre quesiti, promossi dai radicali e appoggiati dai socialisti, riguardò la competenza del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) a designare le regioni in cui costruire le centrali e l’abrogazione della legge che aveva sottratto la scelta dei siti al Parlamento. Il secondo chiedeva ai votanti l’abrogazione delle norme che stabilivano contributi per Comuni e Regioni che ospitavano centrali nucleari e a carbone. Il terzo, infine, proponeva la cancellazione della legge che consentiva all’Enel di partecipare alla costituzione di società straniere per la costruzione e per l’esercizio di centrali elettronucleari.
Qui, i liberali, che nei primi due quesiti erano stati promotori, si schierarono per il “no”.
Furono, infine, dichiarati inammissibili dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, altri due quesiti, riguardanti caccia e sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura.
Sulla scia del clamore suscitato dal caso Tortora e dal disastro di Cernobyl’, i referendum abrogativi conclusero con una netta vittoria dei «sì».
Sul primo quesito, infatti, gli italiani si divisero tra un 80,21% favorevole e un 19,79% contrario. Nel secondo, invece, i favorevoli all’abrogazione furono l’85,04%. Stessa cosa sui quesiti riguardanti le centrali nucleari. Al terzo quesito i favorevoli furono l’80,57%, al quarto il 79,71% e al quinto il 71,86%
Esito confermato, anche se in percentuali minori, anche a Bitonto, dove i favorevoli al primo quesito raggiunsero il 67,4% dei votanti, mentre al secondo furono il 70,8%. Sull’energia nucleare, il terzo quesito raggiunse il 69,4% di “sì”, il quarto il 68,2 e l’ultimo il 64,5%.
Se i quesiti sul nucleare impedirono che l’Italia non prendesse quella via di approvvigionamento energetico, per i promotori degli altri due quesiti la volontà popolare non fu altrettanto rispettata. Pochi mesi dopo l’appuntamento elettorale, infatti, il Parlamento approvò la legge n.117 dell’88, meglio conosciuta come “legge Vassalli, dal nome del suo ideatore Giuliano Vassalli. Una legge, votata da Dc, Pci e Psi, che disciplinava il “risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”. Per i radicali, la legge non rispettava l’esito referendario perché faceva ricadere la responsabilità degli errori, non sul magistrato, ma sullo Stato, che, successivamente, aveva la facoltà di rivalersi sullo stesso, entro il limite di un terzo di annualità dello stipendio.