Ore 12,37 di sabato 10 luglio 1976.
È il momento del disastro italiano più importante ed eclatante a livello ambientale. Nel reparto ”B” dello stabilimento “Icmesa” di Meda, in Lombardia, dove avviene la distillazione del triclorofenolo, accade che la temperatura di un reattore balza vertiginosamente sopra il limite di sicurezza di 175 gradi centigradi. La valvola di sicurezza entra in funzione e rilascia all’esterno, per circa mezz’ora, una ”nuvola bianca” contenente circa due chilogrammi di diossina, che il vento spinge in direzione del vicino abitato di Seveso.
Sono passati quasi 45 anni e da allora la vita del Comune (ma anche di Cesano Maderno, Desio e Meda) è stata sconvolta. Il primo segnale della tragedia è stato un numero altissimo di pecore morte, al quale presto si affiancano malesseri alla popolazione. Solo dopo giorni l’azienda ha ammesso che si era verificato un guasto agli impianti con fuoriuscita di una sostanza, la diossina, appunto, che da allora è diventata famosa.
L’accaduto, come spesso accade in questi casi, ha spinto l’allora Comunità economica europea a cercare una politica comune per prevenire e affrontare i grandi rischi industriali, tant’è che nel 1982 è approvata una direttiva chiamata “direttiva Seveso” che impone da allora agli Stati membri di identificare gli stabilimenti a rischio e di stabilire una serie di rapporti periodici e piani di intervento in caso di emergenza. L’anno prima gli impianti “Icmesa” sono stati abbattuti.
Quei giorni, però, sono stati indimenticabili e tremendi al tempo stesso, anche perché non aveva precedenti. Per precauzione sono state sgomberate tutte le case vicine alla fabbrica, la città divisa in zone, A, B, secondo il grado di pericolosità ambientale, recintate e chiuse. Non sono mancati i casi – oltre 200 – di cloracne, una malattia della pelle di cui alcuni non sono mai guariti. Il rischio maggiore, secondo gli esperti, era quello dei tumori ma anche delle malformazioni al feto. Oltre quelli alle colture e i tantissimi casi di dermatite.
Perché, allora, quel terribile incidente? Tutto parte da lontano rispetto a quel maledettissimo sabato. Già dagli anni ’40, infatti, l’azienda aveva avuto rapporti tutt’altro che semplici con i sindaci di Meda e Seveso e con le persone che vivevano nella zona a causa dei gas, degli odori, degli scarichi e dell’inquinamento delle falde acquifere di cui in molti ritenevano responsabile proprio la fabbrica. Nel 1974, poi, il direttore tecnico dell’ICMESA è stato denunciato per aver “corroso e adulterato acque sotterranee destinate alla alimentazione rendendole pericolose per la salute pubblica”, ma è stato assolto per insufficienza di prove.
Il 10 luglio di due anni dopo, poi, è accaduto quello che sappiamo. Quasi 700 il totale degli sfollati nei giorni successivi all’incidente in due hotel di Bruzzano e Assago e hanno fatto rientro a casa solo un anno e mezzo dopo.
Dopo il disastro è stato aperto un processo penale e civile dalla Regione Lombardia e dalla Procura della Repubblica di Monza contro l’azienda. Nel marzo 1980 è stato raggiunto un accordo con ICMESA costretta a sborsare oltre 103 miliardi di lire, compreso un rimborso per Stato e Regione Lombardia per le spese di bonifica. La multinazionale, inoltre, ha sborsato circa 200 miliardi di lire per i danni subiti dai privati.