Sapevo che c’era dal sorriso di Francesco, il figlio. Perché Pino Rossiello era così: una forza della natura, uno tsunami di allegria, un vulcano di gioia. Ed aveva questa dote rarissima: illuminava tutto il mondo che lo circondava, fosse l’ufficio di un’azienda o la gradinata di uno stadio. Appena ti conosceva, poi, ti cercava per stringerti la mano e parlarti con cuore aperto. Ho avuto modo d’entrare in dimestichezza con lui quest’estate, mentre la tempesta giudiziaria stava squassando il veliero nomato Bitonto calcio, subito dopo aver toccato l’Empireo della sua storia secolare, in modo fugace e illusorio però. Il signor Pino, nonostante tutto, non si è abbattuto un secondo: era lì che, armeggiando fra carte e computer, proponeva sempre una soluzione che volgeva qualsiasi situazione ingarbugliata e triste in una soluzione ottimistica e bella. Era il primo in tutto e si vedeva che aveva un cuore grande grande. Era un leone neroverde, davvero, forse più di quelli leggendari del nostro stemma. La sua presenza colorava di splendore gli spalti grigi del “Città degli Ulivi”. Lo ricordo nitidamente al tramonto del callido successo sul Taranto, mi venne incontro con occhi luminisissimi e felici: “Non vedo l’ora di sentire stasera la tua poesia”. Sì, signor Pino, scrissi il pezzo per il servizio proprio pensando a queste tue parole e chissà se ne sono stato all’altezza. Poi, quella bestia maledetta, subdola, crudele, assassina del Covid-19, contro cui stiamo lottando invano, ti ha rubato la vita, caro Pino, ma non la tua umana grandezza. Certo, la retorica funebre vuole che tu ora sia in viaggio per i prati celesti, ma io so solo che avremmo preferito tenerti ancora qui fra noi, con noi, anche solo egoisticamente per vederti accanto alla tua splendida consorte e al tuo impareggiabile figlio, parlarti, e scambiare con te sorrisi di simpatia vera. Gia ci manchi. E tanto, tantissimo…