Con l’avvicinarsi delle festività pasquali, arrivano gli auguri “scomodi” di don Ciccio Savino.
Il Vescovo di Cassano all’Jonio ha scritto una lettera agli uomini e alle donne impegnati nelle istituzioni politiche per invitarli a prendersi cura dei fragili e degli ultimi e ad aiutarli in questo difficile momento storico.
Di seguito la lettera completa inviata da Sua Eccellenza Monsignor Savino:
Carissimi,
credevo che il tempo ed una buona evoluzione della situazione sanitaria riuscissero a farmi disabituare a queste distanze affidate alla penna, a relais ingarbugliati, a cavi di rame interrati e sepolti, a tastiere e volti in schermo e che avrei avuto, finalmente, il piacere di incrociare i vostri occhi, per rivolgervi, come facevamo prima della pandemia, gli auguri per questa Santa Pasqua.
Mi assumo un impegno di speranza e, con questo, rimando il nostro incontro a primavere più feconde, quelle che immagino come risvegli della tenerezza, tempi in cui riusciremo a vederci senza lo scudo della paura e dell’incertezza.
Vengo a chiedervi di essere, ancora e per un ulteriore energico sforzo, “La Libertà che guida il popolo”, nell’interezza di questo capolavoro di Eugène Delacroix che ha rappresentato la prima grande opera di passione politica a cui si è legato tutto il filone dello stile romantico che oggi rende, questo quadro, un manifesto di libertà e consapevolezza rivoluzionaria.
La situazione attuale mi impone di essere qui a ringraziarvi per l’impegno profuso in favore delle vostre comunità. Ritengo di farlo perché ho colto in voi la volontà di non rinunciare alle responsabilità, imponendovi, anzi, come corresponsabili nella stesura di questa storia nuova che sta mettendo a dura prova il mondo. Ho apprezzato i vostri modi di condividere ogni cosa, senza gesta eroiche, in un momento cruciale anche per le future generazioni che impareranno, da questa esperienza, cosa è vivere indossando i panni di una Istituzione.
Il tempo che stiamo vivendo adesso richiede, però, una inversione di rotta, un’attuazione della vostra vocazione più profonda che deve essere, necessariamente, una vocazione alla carità.
Papa Francesco ce lo ricorda nella sua ultima enciclica “Fratelli Tutti”, ci ricorda che la carità è capace di riunire le dimensioni mitiche ed istituzionali perché presuppone un cammino di trasformazione della storia.
I contorni storici che la pandemia da Covid-19 sta disegnando, mi portano ad avere una profonda preoccupazione per quelli che saranno i tempi e le modalità di ripresa perché mi sembra che non basterà più la speranza se non sarà legata ad una corposa dose di coraggio civile.
Abbiamo avuto, e voi in primis, molto spirito di sacrificio condito con l’audacia dell’autoconservazione e con la forza dell’obbedienza per fronteggiare un fenomeno che ci ha colti tutti nuovi e fragili a veleggiare “sulla stessa barca”, come ammoniva Papa Francesco.
Siete stati coraggiosi “nell’osare l’aurora”, nell’abbracciare con indefesso spirito di servizio la responsabilità dell’ordine, barattando anche l’immacolatezza delle libertà personali in favore di una cura misericordiosa verso le comunità. Vi siete scontrati con dura perseveranza con quell’amore sociale che è un “progredire verso una civiltà dell’amore alla quale tutti possiamo sentirci chiamati perché la carità, col suo dinamismo universale, può costruire un mondo nuovo, perché non è un sentimento sterile, bensì il modo migliore di raggiungere strade efficaci di sviluppo per tutti”.
Quello che il Santo Padre ci invita a fare è puntare verso un’economia integrale che si posi su un amore sociale, solo questo ci riporta ad essere attori di una civiltà dell’amore in cui si svela la grande mascherata del male e per cui rimandiamo, in subordine, tutte le personalizzazioni dei pensieri e dei desideri, perché la vera missione è sempre frutto di una vocazione.
I danni che il Covid-19 ha creato si quantizzano in tutti i settori della vita. Innanzitutto ci ha portato via gli affetti, ci ha toccato nell’intimo del nostro cuore perché abbiamo visto andar via amici, parenti, amori o abbiamo sentito come nostre storie lontane che hanno stimolato una grande empatia: siamo stati il cuore di tutti i malati, il pianto di tutti i più deboli e la sofferenza di quelli che sono stati chiamati a ricostruire il tutto dalle macerie. Abbiamo avuto il tempo di vivere questi dolori come i nostri, perché le disposizioni atte a contenere la diffusione del virus ci hanno fatto comprendere come il tempo possa essere dilatato e disteso e ci hanno quasi fatto dimenticare la frenesia della normalità. Lasciatemelo dire, il cuore non si piega a battere ai ritmi del 2.0.
Lo scorso anno vi invitavo a fare della “distanza” una virtù, per sperimentare, nella sua più intima natura, una solitudine generativa di senso e di grazia, una radura di luce che vi guidasse nelle scelte con responsabilità. Oggi, dopo un anno in cui vi siete anche sentiti soli e sfiduciati, perché tutto serve a compiere scelte a favore della verità, vorrei indicarvi la via di una virtù dell’etica aristotelica-tomistica: la prudenza.
Scrive Eberhard Bethge, pastore evangelico e biografo di Dietrich Bonhoeffer,: “L’uomo prudente riconosce nella pienezza del concreto e delle possibilità contenute in esso i limiti invalicabili posti a ogni agire dalle leggi permanenti della convivenza umana; con questa chiarezza l’uomo prudente agisce bene e l’uomo buono prudentemente.”
Alla prudenza accompagnerei la fiducia. Abbiate fiducia nelle vostre azioni perché se è vero che la giustizia immanente della storia può premiarle o punirle, è vero anche che l’eterna giustizia di Dio si piega a giudicare solo i cuori. Ed in quel momento, nel momento in cui Dio manderà a giudizio i nostri cuori, soppesandone la verità e la carità, la cortina verrà tirata svelando ciò che vi era nascosto, come ha scritto la mistica svizzera Adrienne von Speyr, e si svelerà la trasparenza perfetta. In questo gioco di trasparenze resterà tutto ciò che avete sentito come guide sagge di uomini impauriti che, in voi, hanno rivolto il loro affidarsi.
Mi preoccupa oggi questa tendenza all’inquinamento da diffidenza verso l’altro, mi preoccupa che non esistano protocolli efficaci a risanare la crepa della fiducia per e verso l’altro. Il rischio che corriamo è quello di esserne soffocati. La pandemia ci ha dimostrato che la salute di tutti può essere improvvisamente cagionevole sebbene il “virus mediatico” circoli su percentuali pseudo rassicuranti, ci ha reso sempre più sospettosi, fomentando intime insicurezze che si traducono nella perdita della compassione. Quando supereremo il tempo della pandemia voglio sperare che saremo in grado di risanare la nostra larghezza di cuore con la carità e la giustizia; cosa accadrebbe se quegli altri di cui ora abbiamo profonda paura, fossimo noi?
“Tuttavia il coronavirus non è l’unica malattia da combattere, ma la pandemia ha portato alla luce patologie sociali più ampie. Una di queste è la visione distorta della persona, uno sguardo che ignora la sua dignità e il suo carattere relazionale. A volte guardiamo gli altri come oggetti, da usare e scartare. In realtà, questo tipo di sguardo acceca e fomenta una cultura dello scarto individualistica e aggressiva, che trasforma l’essere umano in un bene di consumo”.
Le conseguenze sociali di questo tempo mi portano a intravedere il rischio della perdita di una umanità speranzosa perché si stanno aggravando vistosamente le disuguaglianze sociali.
Vi prego, facciamo in modo che nessuno resti indietro! Facciamo in modo che il divario di cittadinanza non manifesti più i sintomi di un’economia iniqua che era già malata prima della comparsa del virus. Questo indica che siamo fuori dai binari dei valori umani fondamentali che non sono solo quelli del Vangelo ma anche quelli della nostra Costituzione. Avrete presto il gravoso compito di provare a livellare tutte le differenze, di raggiungere gli ultimi nelle loro periferie esistenziali e di renderli nuovamente parte dell’amalgama del mondo. Vi chiedo di farlo soprattutto tra i bambini ed i giovani perché anche la cultura non diventi elitaria ma anzi li custodisca e li aiuti a liberarsi dalle disuguaglianze imposte. Li si aiuti con ogni mezzo a stare al passo di tutti gli altri, con tutti gli strumenti umani ed elettronici, con una vicinanza concreta e tangibile, affinché non avvertano mai la lunghezza della coda davanti a loro, sentendosi ultimi.
Non a caso ho scelto il quadro di Delacroix, l’ho fatto perché suscitasse in voi la ricostruzione di un ideale romantico alla guida delle vostre comunità e perché il bambino presente alla sinistra di Marianne, la donna che assurge all’ideale di libertà, racconta del coraggio e dell’audacia che spero non manchi mai alle nuove, future, generazioni.
Prendetevi cura delle fragilità delle persone!
Questo vuole essere il più sincero augurio per questa Santa Pasqua con la speranza che decliniate la cura in una nuova grammatica dell’esistenza, che vi spinga ad osare, ad osare di essere “La libertà che guida il popolo”!
Auguri.
don Francesco, Vescovo