La morte di un galantuomo addolora sempre, addolora ancor più sei hai avuto la fortuna di conoscerlo. Carlo Tognoli era una persona che sprizzava immediata simpatia, decisamente mite, segnato da un sorriso sempre stampato sul suo volto. Amatissimo dai Milanesi, che lo ebbero sindaco nel decennio 1976-1986, offrendo un esempio straordinario di volontà, forza e generosità nell’affrontare con determinazione quegli anni difficili dell’uscita del terrorismo, fu Ministro delle Aree urbane nei governi di Goria e De Mita e poi europarlamentare. Aveva una concezione alta della politica, di quella concreta e capace di guardare lontano, la politica davvero intesa come servizio per la collettività. Era in fondo il depositario della storia socialista informata ai principi morali di Turati e Nenni, un rigore mantenuto anche quando da autonomista fu vicino alle posizioni di Craxi. Con lui potevi parlare di problemi legati alla politica, di ecologia, ma anche di processi storici e di arte, di aspetti socioculturali: era una persona che credeva molto nella cultura, che riteneva l’arma necessaria per curare ogni ferita e determinare un nuovo ritrovarsi del consorzio umano e viveva la solidarietà come forza rigenerante della società. Ricordo il suo entusiasmo nel descrivermi la grande mostra, di cui era stato coordinatore, Milano e la Prima guerra mondiale. Caporetto, la Vittoria, Wilson promossa nel 2018 dalla Fondazione Saragat e dal Centro Studi Grande Milano, con la ferma sua convinzione che la città di Milano in quegli anni fu la capitale della parte d’Italia più direttamente investita dal conflitto, in quanto, dopo essere stata teatro di violenti dissidi fra neutralisti e interventisti, riuscì ad allestire un gigantesco sforzo di assistenza ai militari e ai civili. Tognoli è venuto più volte a Bitonto: una giornata piovosa del 1986 l’accompagnai a vedere la Cattedrale, sino a giugno del 2019, quando con Dorina, sua moglie, percorremmo il centro storico di cui apprezzava i molteplici stili architettonici. Era legatissimo a Francesco Speranza e a Marina, i suoi suoceri. Era un profondo conoscitore e grande stimatore della pittura, di cui apprezzava il predominio della figura, il ritmo solenne e pacato, il riferimento a modelli trecenteschi o rinascimentali, le strutture elementari, povere, percorse da una luce pura, cariche di poesia. E volle dare con Dorina un segno tangibile del suo legame con la città di Speranza e del sincero apprezzamento della sua pittura donando al Museo della Fondazione De Palo-Ungaro i ritratti del “Padre” e della “Sorella”. Ancora un segno del suo indiscusso galantomismo.