«Video killed the radio star, (Il video ha ucciso la star della radio)
In my mind and in my car (Nella mia mente e nella mia auto)
We can’t rewind we’ve gone to far (Non possiamo tornare indietro, siamo andati troppo lontani)
Pictures came and broke your heart» (Sono venute le immagini e ti hanno spezzato il cuore)
I Queen con “Radio Ga Ga” non furono gli unici a dedicare una canzone alla radio e al suo ruolo egemone, prima dell’avvento della tv. Prima di loro, nel ’79, ci avevano pensato già i Buggles con la popolare “Video killed the radio star”, una canzone dedicata a quel passaggio tecnologico che portò la televisione a spodestare la radio dal suo ruolo egemone nell’intrattenimento musicale. Canzone che, non a caso, fu utilizzata, nell’81, per inaugurare le trasmissioni di Mtv, la prima tv dedicata proprio alla musica.
Ma l’avvento delle tv private non rivoluzionò solamente il mondo della musica. Rivoluzionò anche l’informazione, l’intrattenimento e la comunicazione politica.
Inventata negli anni ’20, sulla base di studi iniziati già nell’800, iniziò ad ospitare le prime trasmissioni sperimentali alla fine di quel decennio, proseguendo nel successivo, approfittando anche delle innovazioni che, rapidamente, subiva quell’oggetto appena creato. Anche in Europa e in Italia, negli anni ’30, ci furono le prime sperimentazioni di trasmissione di programmi televisivi. Ma fu nella Germania nazista che si riuscì, per la prima volta a trasmettere una diretta, in occasione del Giochi della XI Olimpiade, organizzati a Berlino nel ’36.
Fu nel secondo dopoguerra che, tuttavia, con l’introduzione della televisione analogica via cavo, iniziò a diventare quel mezzo di comunicazione di massa che conosciamo oggi, spodestando dal suo trono la radio e imponendosi anche come nuovo vettore di messaggi politici. Basti pensare al successo ottenuto da John Fitzgerald Kennedy alle elezioni presidenziali statunitensi del ’60, le prime presidenziali in diretta tv, le prime in cui i candidati si sfidano in diretta tv.
Insieme all’auto, la tv fu uno dei simboli del miracolo economico italiano, entrando pian piano nelle case di tutti. Se nel dopoguerra era un privilegio di pochi (non è raro sentir raccontare dai più anziani di quanto più famiglie si ritrovavano tutte insieme per guardare la tv in casa di quei pochi che l’avevano, ad esempio, in occasione del festival di Sanremo), dagli anni 50 e soprattutto ’60 diventa sempre più di massa. E, come per la radio, inizialmente le frequenze erano soggette al monopolio statale della Rai. Fino al ’76, quando, come abbiamo già detto nel precedente appuntamento di questa rubrica (ma ripetiamo per chi non l’avesse letto), la sentenza 202 della Corte Costituzionale dichiarò «l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 45 della legge 14 aprile 1975, n.103 (nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva) nella parte in cui non sono consentiti, previa autorizzazione statale, l’installazione e l’esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l’ambito locale».
In realtà, le prime tv private nacquero già qualche anno prima, ma erano soggette a frequenti controversie giudiziarie. La sentenza del ’76, dunque, diede il via al diffondersi di miriadi di tv locali che rivoluzionarono i costumi, la comunicazione, la politica, l’intrattenimento, l’informazione. Certo, in termini meramente quantitativi, non ci fu una diffusione simile a quella che ebbero le radio, sorte in numero elevato, come abbiamo visto anche per Bitonto. Creare una tv necessitava di risorse più ingenti, quindi la diffusione è stata ovviamente inferiore. A Bitonto, ad esempio, l’unico tentativo, durato pochissimo tempo, di creare una tv privata fu tentato con Radio One, con Teleradio One, come ricorda, ai nostri taccuini, Nico Germano, che collaborò con Radio One.
Ma, se l’avvento delle radio libere ebbe certamente più ripercussioni in ambito locale, quello delle tv fu più centrale a livello nazionale. La liberalizzazione delle frequenze televisive è stata una rivoluzione ben maggiore, ben più centrale nella storia italiana, per via dei cambiamenti della politica italiana dei decenni successivi che proprio da lì sono partiti.
L’avvento delle tv commerciali rivoluzionò i costumi, moltiplicò l’offerta di programmi televisivi, meno soggetti al controllo partitico, rispetto alle tv statali (anche perché i partiti iniziarono ad avvertire segni di debolezza) e fu protagonista, con i suoi programmi dedicati all’intrattenimento, del disimpegno degli anni ’80. Sorsero tante tv locali che, negli anni successivi, moltiplicarono i contenuti a disposizione, spesso riempiendo i palinsesti anche con format di dubbia qualità (a quei format la Gialappa’s Band dedicò, dal ’91 al ’93, anche una delle sue prime trasmissioni dal titolo “Mai dire tv”, che passando in rassegna le reti locali, individuava i programmi più improponibili e più involontariamente comici).
Non solo. Si iniziò, in questo contesto, a spianare la strada per l’avvento di una nuova politica che, alcuni storici, hanno definito “videopolitica”, e che vedrà in Silvio Berlusconi il suo massimo rappresentante. Ma che, tuttavia, sarà inaugurata già da Bettino Craxi. Sarà il segretario del Partito Socialista Italiano, infatti, a spianare la strada a quella politica spettacolo dallo stile televisivo, quella dei personaggi televisivi prestati alla politica, quella dei famosi “nani e ballerine”, per usare la celebre espressione di Rino Formica, resa possibile grazie allo stretto legame che il segretario socialista aveva con l’impero mediatico di Berlusconi. Aspetti, questi, che vedremo più in là.
La televisione, inoltre, fu anche uno dei mezzi con cui si diffuse sempre più, a partire dagli anni ’70 e maturando negli ’80, una corrente antipartitica e antipolitica che sarà centrale nella crisi dei primi anni ’90, come scrisse anche Alfio Mastropaolo nel volume intitolato, appunto, “Antipolitica all’origine della crisi italiana”. Una corrente alimentata anche da giornalisti e conduttori televisivi, sia sulle reti di Stato, che sulle reti private di Berlusconi, che, già negli anni ’70 aveva avviato le sue reti locali in Lombardia e Piemonte e che, con Canale 5, nell’80, inglobando altre reti locali, creò la prima tv privata nazionale, diretta concorrente delle reti Rai.
Con l’ingresso delle tv private, questi nuovi tribuni, sia a destra, sia a sinistra, contribuirono a spianare la strada per una nuova società dell’immagine, nell’illusione che la tv, con i suoi tempi immediati, avrebbe dato più voce ai cittadini. Aprendo, però, spesso, la strada a veri e propri sfogatoi populisti “che non avrebbero aiutato la sinistra“come polemizzò Massimo D’Alema, esprimendo dissenso verso i programmi di Michele Santoro e Gad Lerner e verso una spettacolarizzazione sempre maggiore delle piazze. Al tempo stesso, intellettuali, politici, studiosi, partiti e sindacati, non furono sempre in grado di utilizzare quel nuovo linguaggio, forse più abituati alle vecchie tribune, format della tv di stato che già agli inizi degli anni ’70 accusarono un calo di interesse a vantaggio di altri tipi di programmi televisivi. Specialmente quando la maggiore concorrenza tra canali televisivi aumentò l’offerta di programmi a tema politico, sottraendosi al forte controllo partitico che vigeva in tempi di monopolio delle frequenze.
Inoltre, la tv permise ai nuovi leader politici di avere un rapporto più diretto con il loro elettorato, senza il filtro rappresentato dalle strutture partitiche. Questo consentirà, specialmente dagli primi anni ’90, a questi leader carismatici di avere una legittimazione diretta, dettata dal rapporto diretto con l’elettore spettatore, che permettesse loro di scagliarsi contro i gruppi intermedi, in primis i partiti, rei di ostacolare il decisionismo del capo. Si aprì, quindi, la strada verso una politica basata sul personalismo del leader carismatico e sulla retorica direttista, che vide nella tv il suo primo gradino.
Sono aspetti che vedremo in seguito, mentre nel prossimo appuntamento vedremo come, proprio alla fine degli anni ’70, il sentimento antipolitico a cui abbiamo accennato assunse maggior forza nell’opinione pubblica italiana. E lo vedremo partendo dai versi di una popolare canzone italiana di quegli anni.