Dalla segreteria di Onda civica Bitonto riceviamo e pubblichiamo.
“In tema di fiscalità locale, ONDA CIVICA, indica, all’unico strumento giuridico asseritamente utilizzabile dal contribuente inadempiente (ravvedimento operoso) la ratio, lo spirito e le ragioni che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione locale all’introduzione della previsione regolamentare dell’accesso all’istituto di composizione delle crisi da sovraindebitamento, oltre che all’indicazione negli avvisi di accertamento esecutivi (impoesattivi) della possibilità di ricorrere all’istituto de quo.
All’uopo, ONDA CIVICA, nell’interesse anche della locale comunità, osserva in fatto e diritto una moltitudine di amnesie legislative, regolamentari e di criticità collegate alla riscossione coattiva.
Ciclicamente, alcune Amministrazioni Comunali nei mesi di novembre e dicembre hanno provveduto e provvedono ad accertare (in zona cesarini), non già ingiungere, gli omessi versamenti delle entrate tributarie del solo quinto anno precedente!
Orbene, un metodo questo che, seppur legittimo, oltre a poter determinare squilibri finanziari dell’Ente, di fatto ha danneggiato gli stessi contribuenti morosi, frapponendo incolpevoli disuguaglianze tra contribuenti di comuni differenti per ordini di motivi in appresso evidenziati:
A) con la definizione agevolata delle entrate regionali e degli enti locali limitata alle sole ingiunzioni di pagamento, si è disciplinata la facoltà delle regioni e degli enti locali di definire in maniera agevolata le proprie entrate non riscosse, purché oggetto di provvedimenti di ingiunzione, ovvero di cartelle di pagamento, notificate nel periodo compreso fra il 2000 ed il 2017, sia direttamente dall’ente territoriale ovvero da un concessionario incaricato della riscossione.
La definizione agevolata prevedeva l’esclusione delle sanzioni relative alle entrate non versate.
Tale quadro normativo, oltre ai ritardi di alcune Amministrazioni Comunali nelle attività di sola riscossione (gli atti di ingiunzione raramente venivano notificati l’anno successivo al periodo impositivo di pertinenza), hanno di fatto denegato e/o precluso le possibilità collegate alla definizione agevolata almeno fino al periodo impositivo 2016.
Se solo tutte le Amministrazioni comunali avessero provveduto a riscuotere coattivamente, per il tramite di ingiunzione e/o cartella di pagamento, all’indomani della scadenza del tributo evaso, non già attendendo il termine ultimo, ovvero la soglia decadenziale, pari a cinque anni, e con atto di accertamento, sarebbero divenute agevolabili le entrate tributarie comunali non riscosse a tutto il 2016, quest’ultimo inteso come periodo impositivo, e gli Enti avrebbero incassato maggiori somme.
E’ di palmare evidenza quindi che l’accesso, la portata e gli effetti del regime agevolativo, di fatto siano stati collegati alla maggior efficienza di un’amministrazione locale rispetto ad un’altra nelle attività di riscossione delle entrate tributarie comunali: a più efficienza dell’Ente nelle attività di riscossione, maggiori sono stati i benefici dei contribuenti morosi e delle stesse casse comunali.
B) seppur legittimamente alcune Amministrazioni Comunali hanno preferito accertare le entrate tributarie evase di pertinenza degli anni in itinere di prescrizione, pur sapendo, che per gli anni successivi, o una parte di essi, gli stessi contribuenti già morosi avevano maturato carichi pendenti per altre tipologie di tributo o stessa tipologia per altre annualità con applicazione di ulteriori sanzioni per omesso/tardivo versamento, non adeguandosi al principio del cumulo giuridico come stabilito dalla stessa Corte di Cassazione con sentenza nr. 5648 del 02.03.2020 nella quale è sancito il principio secondo il quale in ipotesi di violazioni riguardanti periodi di imposta diversi, l’Ufficio in sede di notifica dell’atto di irrogazione deve, quindi, procedere alla ricostruzione di un’unica serie progressiva, che comprende anche le violazioni precedentemente considerate e contestate, e deve tenere conto, nel determinare l’importo della sanzione, di quello già indicato nell’originario atto notificato.
In ordine sparso, alcune Amministrazioni Comunali hanno già fatto proprio il predetto principio di cumulo giuridico delle sanzioni afferenti periodi di imposta differenti, adeguando i propri regolamenti comunali, altre no.
C) per quanto attiene le notifiche degli atti accertativi impoesattivi di nuova formulazione (cd. ESECUTIVI) che abbiano concluso, in tempi di pandemia da covid-19 (centinaia di migliaia di contribuenti ospedalizzati per trattamenti sanitari intensivi anche di lungo corso e soggetti emarginati/limitati/vincolati per mesi ex D.P.C.M. a restare obbligatoriamente domiciliati altrove, in regioni differenti da quella di cui al comune di residenza) il processo di notificazione per compiuta giacenza, quid juris?.
A tal proposito si lamenta l’omessa campagna d’informazione e comunicazione degli Enti sul nuovo strumento accertativo esecutivo impoesattivo e sugli effetti immediati dello stesso.
La notifica del nuovo atto non si limita più a formalizzare la pretesa impositiva; coevamente la connota anche come pretesa esattiva, suscettibile di dar luogo a pignoramenti e agli altri atti dell’esecuzione forzata tributaria. La notificazione funge, dunque, da spartiacque tra il potere impositivo ed esattivo, per un verso, e la libertà o la soggezione patrimoniale, per l’altro.
In questo contesto emergono comunque due dati sufficientemente chiari. Il primo è che la compenetrazione in parte qua tra accertamento e riscossione viene formalmente realizzata con l’introduzione nella struttura dell’atto «impoesattivo» dell’«intimazione ad adempiere all’obbligo di pagamento», entro il termine di presentazione del ricorso, delle somme intimate e dell’«avvertimento che si procederà ad esecuzione. In questo contesto emergono comunque due dati sufficientemente chiari. Il primo è che la compenetrazione in parte qua tra accertamento e riscossione viene formalmente realizzata con l’introduzione nella struttura dell’atto «impoesattivo» dell’«intimazione ad adempiere all’obbligo di pagamento», entro il termine di presentazione del ricorso, delle somme intimate e dell’«avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione di dette somme, è affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell’esecuzione forzata, mentre la «esecutività dell’atto» è correlata al decorso di sessanta giorni dalla sua notificazione. Il secondo dato è che la «notificazione» dell’atto di cui trattasi riveste nel contesto disciplinare delineato dalla norma in esame un ruolo di componente costitutiva dell’intera fattispecie dell’atto, di cui viene a far parte.
Il nuovo atto «impoesattivo» ha, come già si è detto, una pluridirezionalità effettuale e una diversità di funzioni, che rende impossibile una sanatoria per raggiungimento dello scopo. Non serve soltanto a dare accesso all’impugnativa del contribuente. Apre le porte, in quanto titolo esecutivo e atto di precetto, all’azione esecutiva e al pignoramento da parte dell’agente della riscossione. Se dunque già era impervio ritenere che lo scopo della notificazione potesse essere quello di consentire al destinatario di proporre ricorso, ancora più assurdo, ed anzi impossibile, è ora pensare che lo scopo della notificazione possa considerarsi quello di provocare l’opposizione all’esecuzione. Se, non ostante la sua immeritata longevità, la formula della provocatio ad opponendum, rispetto ai ricorsi relazionati ai vecchi avvisi di accertamento, non ha più senso, tanto meno può aver senso l’idea della notificazione dell’atto «impoesattivo» quale provocazione ostativa all’esecuzione forzata.
Il deficit quantitativo di tutela è di tutta evidenza. Non v’è più una iscrizione a ruolo e una cartella contro cui esperire l’impugnativa davanti al giudice tributario. Il venir meno di un atto autonomamente impugnabile non può che indebolire gli strumenti di reazione del contribuente. Quando l’avviso è ex post alla formazione del titolo esecutivo, ma di fatto l’Ente è in possesso dello strumento per accedere all’esecuzione forzata tributaria, si era provocatoriamente posto l’interrogativo di un ritorno al solve et repete.
Sta di fatto, peraltro, che ormai, dopo la mancata o invalida notifica dell’atto «impoesattivo», salva l’eventuale inerzia dell’agente della riscossione che richiede la notifica di un ulteriore atto d’intimazione di pagamento prima del pignoramento, vi è di regola proprio e solo il pignoramento stesso. Quid iuris allora, volendo reagire a fronte della mancanza e/o giuridica inesistenza e/o invalidità della notifica dell’atto «impoesattivo»? Le soluzioni prospettabili sembrerebbero le seguenti: pagare e ripetere, ovvero impugnare il pignoramento davanti al giudice tributario, o impugnare davanti a questo l’atto «impoesattivo», in quanto affetto da vizi di notifica idonei a legittimare la rimessione in termini di una impugnativa altrimenti tardiva, onde ottenerne l’annullamento, o, ancora, proporre opposizione esecutiva, e/o, infine, intentare causa per danni nei confronti dell’ente impositore, ovviamente, essendo l’agente della riscossione messo al riparo dall’avvenuta scomparsa della notifica della cartella di pagamento.
D) Gli andamenti dei residui attivi nel triennio 2016-2018 di oltre 4000 comuni italiani sono stati esaminati, dalla Corte dei Conti, con riferimento alla loro consistenza a fine esercizio, all’esito delle operazioni di riaccertamento ordinario, alle riscossioni ed alla formazione di nuovi residui. Il dato complessivo (sommatoria tra residui riportati e quelli di competenza al 31 dicembre di ognuno degli esercizi osservati) mostra un andamento in crescita, con un tasso annuale medio del 4,53% tra il 2016 (39,4 miliardi) e il 2017 (41,2 miliardi) che scende al 2,20% nel 2018, quando i residui attivi si attestano a 42,1 miliardi. L’osservazione del trend, per tutto il triennio, restituisce un incremento complessivo del 6,84%.
In questa prospettiva la ripresa della crescita dei residui attivi potrebbe essere sintomatica di una non compiuta acquisizione ed applicazione dei principi della contabilità armonizzata, oppure potrebbe derivare da una incompleta operazione di riaccertamento straordinario, rispetto alla quale non è stato possibile attuare provvedimenti emendativi in sede di riaccertamento ordinario.
Per quanto riguarda la distribuzione del dato si rileva una marcata crescita, tra il 2016 ed il 2017, dei residui attivi relativi alle entrate correnti (7,34%) e, tra questi, in particolare quelli relativi alle entrate del Titolo 1 (10,23%). La tendenza all’aumento, anche se in misura decisamente più moderata, resta confermata per il 2018, con il tasso di crescita dei residui da entrate correnti che si attesta al 2,69%, mentre per le entrate tributarie scende al 3,02%. Ne consegue che nel triennio i residui attivi per entrate proprie mostrano un incremento complessivo pari a circa il 11,94 %. Lo stock di residui relativi alle entrate in conto capitale (Titolo 4) resta pressoché stabile nel triennio, all’esito di andamenti altalenanti tra il biennio 2016-2017 (-1,96%) e quello successivo (2017-2018), quando si registra una crescita dell’1,56%. Il dato delle anticipazioni da istituto del tesoriere risulta anomalo, infatti, nel biennio 2016-2017, si incrementa del 68,38 %, in evidente contrasto con la natura stessa di tale entrata e con la corretta applicazione dei principi regolatori del suo ciclo contabile, che dovrebbe chiudersi al 31 dicembre dell’esercizio di riferimento.
Il disallineamento tra questo andamento e le risultanze che emergono dall’analisi dei residui passivi nel medesimo periodo, rafforzano la Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali.
Tale incongruenza potrebbe derivare da criticità nella gestione dei residui, nella loro contabilizzazione e/o classificazione. Il decremento registrato tra il 2017 e il 2018 non è utile a dissolvere le perplessità espresse, giacché l’importo complessivo dei residui iscritti al Titolo 7 – pur circoscritto a valori assoluti poco significativi – resta al di sopra dei 18 milioni di euro.
L’osservazione della composizione dei residui consente di approfondire le dinamiche che determinano lo stock finale nel triennio. Un primo elemento d’interesse è rappresentato dal riaccertamento ordinario – effettuato annualmente dagli enti al fine di dare attuazione al principio contabile generale della competenza finanziaria – che agisce sul ridimensionamento della consistenza dei residui rivenienti da esercizi precedenti. Il riaccertamento ordinario, al quale già il sistema pre-armonizzato assegnava particolare rilievo, rappresenta la sede naturale per provvedimenti correttivi, da effettuarsi ai sensi dell’art. 3, co. 4, d.lgs. n. 118/2011 e secondo quanto previsto dal principio contabile applicato della contabilità finanziaria.
I residui attivi relativi alle entrate correnti, in sede di riaccertamento ordinario, si riducono, in ciascuno degli anni analizzati per poco più di un 1 miliardo (1,34 miliardi nel 2016; 1,1 miliardi nel 2017 e 1,53 miliardi nel 2018). Nel dettaglio, tra le entrate correnti, si segnala, per il 2016, un andamento analogo dei residui riaccertati per entrate di natura tributaria ed extratributaria; si evidenziano, infatti, decrementi pari, rispettivamente, a 553 e 589 milioni di euro, che incidono per il 4,37% e il 5,4% sulla consistenza dei residui attivi al 1° gennaio. La riduzione dello stock risulta pari a 395 milioni di euro (- 2,8%) ed a 560 milioni di euro (il 4,8% dello stock iniziale) per il 2017, mentre per il 2018 esse ammontano, rispettivamente a 599 milioni di euro (3,86% dello stock iniziale) ed a 817 milioni di euro (il 6,54% dello stock iniziale).
La variazione media del tasso di smaltimento dei residui complessivi, riferita al 2018, mostra una riduzione di oltre un punto percentuale dell’indice di riscossione a fronte di una sostanziale stabilità tra quanto riscosso tra il 2017 e il 2016 (0,26%). D’interesse è l’incremento registrato, nel 2017, nelle riscossioni in conto residui delle entrate tributarie (4,27%), di fatto neutralizzato dalla contrazione delle riscossioni relative ai trasferimenti correnti ed alle entrate extratributarie, donde risulta un valore medio in lieve diminuzione tra il 2016 ed il 2017. Tale andamento non risulta però confermato nel 2018, quando si registra un tasso di smaltimento per le entrate tributarie del 2,91%, che determina una riduzione della velocità di riscossione delle entrate correnti del 2,29% per tale esercizio. Particolarmente significativo, benché in continua flessione nel triennio (percentuali passate dal 60,01% dell’esercizio 2016, al 50,56% nel 2017, fino a toccare il 45,33% rilevato nell’ultimo esercizio), è il tasso di realizzazione dei residui attivi da trasferimenti correnti per i quali, peraltro, la stretta osservanza dei criteri di accertamento renderebbe, di norma, eccezionale l’insorgenza stessa di residui. Rimane, di contro, attestata su valori bassi – verosimilmente in ragione della tipologia dei crediti che rifluiscono nel relativo Titolo (vendita di beni e proventi di servizi, proventi da repressione illeciti, rimborsi ed indennizzi) – la riscossione in conto residui per ciò che attiene le entrate extratributarie.
L’analisi dei dati riferiti alle singole Regioni evidenzia che i Comuni con la più alta percentuale di realizzazione sono, per tutto il triennio, quelli appartenenti al Veneto (con percentuali medie annuali pari, rispettivamente, al 53,89% nel 2016, al 51,25% nel 2017 ed al 52,27% nel 2018) mentre i Comuni con il tasso più basso sono quelli della Campania nel 2016 (16,42%), della Calabria nel 2017 (15,19%), e del Lazio nel 2018 (16,23%). Per le entrate correnti tale media si attesta attorno al 31% nei primi 2 anni (rispettivamente il 31,15% nel 2016 ed il 31,01% nel 2017), registrando un calo nel 2018, quando il tasso medio è stato del 28,74%. Risultano tra i più virtuosi i Comuni del Veneto, registrando tassi di realizzazione del 54,18% nel 2017 e del 56,20% nel 2018. Nel 2016 sono quelli appartenenti all’Emilia-Romagna che registrano la percentuale più elevata (55,12%), mentre i tassi più bassi, tra l’altro in costante diminuzione (17,12% nel 2016, 15,22% nel 2017 e 13,04% nel 2018), afferiscono ai Comuni della Campania. Le riscossioni in conto residui delle entrate da “trasferimenti correnti” mostrano un tasso di realizzazione significativo, seppure in costante e marcata diminuzione nel corso del triennio (60% nel 2016, 51% nel 2017, e 45% nel 2018). Simmetricamente a quanto già visto nella gestione di competenza, la riscossione in conto residui delle entrate extratributarie risulta particolarmente lenta (rispettivamente 20,3%, 19% e 18,4%) attesa la tipologia di alcuni crediti contabilizzati (vendita di beni e proventi di servizi, proventi da repressione illeciti, rimborsi e indennizzi), ma anche per la possibile inosservanza delle specifiche prescrizioni contabili che regolano l’accertamento in entrata. Il tasso di smaltimento dei residui attivi di parte capitale raggiunge, nel 2018, il 27%, evidenziando le difficoltà riscontrate dagli enti nel programmare le tempistiche di adempimento delle obbligazioni in scadenza.
Se si osserva l’ammontare dei residui di nuova formazione, per ciascun anno di riferimento, si rileva un andamento alquanto costante (con lieve flessione nel 2018) ed il totale degli accertamenti non riscossi approssima il 20% di quelli complessivi (20,32% nel 2016; 22,04% nel 2017; 21,24% nel 2018).
E) La gestione dei residui attivi, espressione della consistenza dei crediti vantati dagli enti, rappresenta il parametro di riferimento per il corretto accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità, Tali quote accantonate incidono negativamente sulla spesa corrente. Come noto, per la determinazione del Fondo in parola il novellato art. 167 Tuel detta una disciplina differenziata stabilendo, a previsione, l’accantonamento di una quota della spesa in un capitolo non impegnabile – da calcolarsi avendo come parametro di riferimento l’importo stanziato in competenza sui capitoli “a rischio” – e, a rendiconto, l’apposizione di un vincolo sul risultato di amministrazione che ha, di contro, riguardo all’importo complessivo dei residui attivi, sia di competenza dell’esercizio cui si riferisce il rendiconto, sia degli esercizi precedenti.
F) Omessa previsione statutaria della transazione fiscale, omessa indicazione all’interno degli atti accertativi esecutivi (impoesattivi) dell’avvertimento della possibilità di accedere agli istituti afferenti, non già la tutela dell’evasione, bensì, la tutela della morosità incolpevole (ad esempio per quanto attiene la tari o la tasi), alla procedura di allerta e di composizione assistita della crisi da sovraindebitamento. Peraltro, gli stessi Enti, di fatto, prevedono già l’istituto della morosità incolpevole (condizioni per accedere reddito isee non superiore a 35 mila euro o un reddito derivante da regolare attività lavorativa non superiore a 26 mila euro), ma ne limitano l’accesso alle sole ipotesi dei canoni di locazione rimasti insoluti. Tale strumento tutela quelle persone che, rimaste senza lavoro, non possano più far fronte ai debiti originariamente assunti, quindi non per propria volontà.
In altri termini, sebbene si tratti di una procedura autonoma rispetto al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione dei debiti, la transazione fiscale si inserisce comunque nell’ambito di tali procedimenti.
L’istituto, ha come scopo principale quello di consentire al competente Ufficio dell’Agenzia di porre in essere le attività indicate dall’articolo 182-ter della L.F., al fine di valutare la proposta transattiva e conseguentemente di esprimere l’eventuale adesione o il diniego alla stessa.
Al punto 4 della circolare n. 40/E del 2008 si è osservato che “l’istituto della transazione, tipico nel diritto civile (articolo 1965 c.c.), appare del tutto innovativo nell’ordinamento tributario, dove è tradizionalmente vigente il principio di indisponibilità del credito tributario. Ne consegue che la relativa disciplina normativa, in quanto derogatoria di regole generali, è di stretta interpretazione”. Tali principi hanno trovato conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2014. Secondo la Consulta, con l’istituto della transazione fiscale “? la cui applicazione all’ordinamento tributario è del tutto innovativa ? l’imprenditore in crisi può proporre alle agenzie fiscali o agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, il pagamento parziale ovvero dilazionato dei tributi o dei contributi e dei relativi accessori, in deroga al principio.
In particolare: 1) i crediti tributari (o contributivi), «limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria», possono costituire oggetto di transazione fiscale remissoria (pagamento parziale) o dilatoria (pagamento dilazionato), con l’eccezione (prevista sin dalla prima introduzione dell’istituto) dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, e purché il trattamento non sia differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole; 2) per i crediti tributari (o contributivi) assistiti da privilegio «la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie»; 3) con riguardo all’imposta sul valore aggiunto (ed alle ritenute operate e non versate) la proposta di transazione fiscale «può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento»”.
LA COMPOSIZIONE DELLA CRISI DA SOVRAINDEBITAMENTO – Il Capo II della legge n. 3 del 2012 ha istituito apposite procedure volte a gestire le situazioni di crisi che investono i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione degli istituti disciplinati dalla L.F.. Le disposizioni di cui si tratta riguardano tutti coloro che, pur rivestendo la qualifica di imprenditori commerciali, non superino le soglie oggettive di cui all’articolo 1 della L.F., nonché tutti gli imprenditori non commerciali. In particolare, sono interessati alla composizione della crisi da sovraindebitamento: • gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, sia in forma individuale sia in forma societaria, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti: aver avuto, negli ultimi tre esercizi o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; aver realizzato, negli ultimi tre esercizi o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; • gli imprenditori agricoli; • le associazioni professionali; • le start up innovative , ai sensi dell’articolo 3122 del DL n. 179 del 2012. Inoltre, la legge n. 3 del 2012 ha esteso la composizione della crisi da sovraindebitamento al “consumatore”, ossia al soggetto, persona fisica, che ha assunto debiti per scopi estranei all’attività di carattere imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. E’ stata, dunque, prevista la possibilità di ristrutturazione del debito per i soggetti persone fisiche non imprenditori, gli imprenditori agricoli e le imprese di ridotte dimensioni, alle quali non si estendono le opportunità offerte dalle tradizionali procedure concorsuali. Si tratta, quindi, di procedure dal vasto ambito di applicazione, che presentano alcuni aspetti riconducibili al concordato preventivo, come anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti, di cui all’articolo 182-bis della L.F.. Invero, anche l’innovativa disciplina della legge n. 3 del 2012 valorizza il ruolo dell’autonomia privata nella gestione della crisi, attraverso il riconoscimento della possibilità per il soggetto interessato di depositare presso il Tribunale territorialmente competente una proposta che preveda la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione, anche parziale, dei crediti attraverso qualsiasi forma, eventualmente mediante cessione dei crediti futuri. Nei debiti risanabili attraverso la composizione della crisi da sovraindebitamento rientrano anche quelli di natura tributaria.
Analogamente a quanto stabilito dall’articolo 182-ter della L.F., anche in tal caso è comunque esclusa la possibilità di falcidiare l’IVA e le ritenute operate.
L’articolo 7, comma 1, terzo periodo, della legge n. 3 del 2012 statuisce, infatti, che “In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento.”. Infine, diversamente da quanto previsto dall’articolo 182-ter della L.F., che opera con riferimento ai “tributi amministrati dalle agenzie fiscali”, nel campo di applicazione della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento rientrano anche i tributi locali.
Per “sovraindebitamento” si intende “la situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente” [articolo 6, comma 2, lettera a), della legge n. 3 del 2012]. La normativa in commento fornisce, dunque, un’articolata definizione dello stato economico dei soggetti che possono accedere alle procedure di risoluzione della crisi da sovraindebitamento.
La proposta va presentata “all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del proponente”.
La composizione della crisi, differenziandosi dalla definizione recata dall’articolo 5 della L.F. in ordine allo stato di insolvenza che dà luogo alla dichiarazione di fallimento (“Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”) e dall’articolo 160 della L.F. in merito allo stato di crisi che consente il ricorso al concordato preventivo (“per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”).
Dal contenuto dell’articolo 6 della legge n. 3 del 2012 emerge, invece, che il sovraindebitamento costituisce una situazione non transitoria che determina, come nell’insolvenza, l’incapacità del soggetto interessato di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Precisi limiti soggettivi sono prescritti dall’articolo 7, comma 2, della legge n. 3 del 2012, secondo cui “La proposta non è ammissibile quando il debitore, anche consumatore: “a) è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo; “b) ha fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai procedimenti di cui agli articoli 14 e 14-bis”, concernenti, rispettivamente, annullamento e risoluzione dell’accordo del debitore e revoca e cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore; “c) ha fornito documentazione che non consente di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale.”
G) a ciò, non meno importanti, tali da renderle antieconomiche per l’Ente, si aggiungano gli aumenti delle soglie di impignorabilità somme nelle procedure di esecuzione mobiliare presso terzi e susseguente inefficacia delle stesse (per incapienza anche parziale) con incidenza delle spese di procedura.
H) in ultimo per quanto attiene alla fantomatica esenzione da aggravio di spese, come da regolamento TARI approvato quest’anno dall’odierna amministrazione comunale, solo per dovizia di informazione li indichiamo in appresso:
“1. I costi di elaborazione e di notifica dell’atto di accertamento esecutivo tributario e quelli delle successive fasi cautelari ed esecutive sono posti a carico del debitore e sono così determinati:
a) una quota denominata «oneri di riscossione a carico del debitore», pari al 3 per cento delle somme dovute in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla data di esecutività dell’atto, fino ad un massimo di 300 euro, ovvero pari al 6 per cento delle somme dovute in caso di pagamento oltre detto termine, fino a un massimo di 600 euro;
b) una quota denominata «spese di notifica ed esecutive», comprendente il costo della notifica degli atti e correlata all’attivazione di procedure esecutive e cautelari a carico del
debitore, ivi comprese le spese per compensi dovuti agli istituti di vendite giudiziarie e i diritti, oneri ed eventuali spese di assistenza legale strettamente attinenti alla procedura di recupero, nella misura fissata con decreto non regolamentare del Ministero dell’economia e delle finanze; nelle more dell’adozione del decreto, si applicano le misure e le tipologie di spesa di cui ai decreti del Ministero delle finanze 21 novembre 2000 e del Ministero dell’economia e delle finanze 12 settembre 2012, nonché ai regolamenti di cui ai decreti del Ministro dell’economia e delle finanze 18 dicembre 2001, n. 455, del Ministro di grazia e giustizia 11 febbraio 1997, n. 109, e del Ministro della giustizia 15 maggio 2009, n. 80, per quanto riguarda gli oneri connessi agli istituti di vendite giudiziarie.
Se quanto dedotto ed osservato “ut supra” sia solo sterile e controproducente polemica finalizzata ad addebitare infondate responsabilità agli uffici comunali, ci sembra ingeneroso. Siamo certi che di un tavolo tecnico e dei necessari confronti ne avrebbe beneficiato l’anima democratica e civile della nostra comunità (senza ricorrere al supporto di laconici trafiletti)”.