Si è spento ieri, nella sua Bari, Giovanni Genchi, l’ultimo sopravvissuto della tragica esplosione della nave Henderson, avvenuta il 9 aprile ’45 al porto di Bari.
La nave inglese trasportava bombe che sarebbero poi state dislocate nelle basi alleate in Puglia. Ma quel carico di morte, durante le operazioni di scarico, saltò in aria, portando con sé 350 persone, tra civili e militari alleati, e lasciando 1700 feriti. Tra le altre vittime anche un bitontino. Fu la più grave tragedia dopo il bombardamento del dicembre ’43, di cui oggi ricorre l’anniversario.
Nell’esplosione, quando mancavano pochi minuti a mezzogiorno, Genchi, all’epoca ventenne, perse il fratello e rimase ferito insieme a suo padre. Dopo aver cercato di soccorrere alcuni dei suoi compagni, caduto in mare, stremato, fu creduto morto e messo su un carro pieno di corpi, condotto, poi, verso Bitonto. Qui, però, si accorsero che tra quei corpi, c’era una persona ancora in vita.
Così raccontò, qualche anno fa, a Vito Antonio Leuzzi, che su quella tragedia scrisse il libro “La terrificante esplosione della nave Henderson”: «Mio fratello Onofrio non si trovò più. Era nella parte della nave che esplose e si inabissò. Era nella stiva n.4, dove morirono tutti. Era sposato e dopo un mese dalla sua scomparsa ebbe una bambina. Io mi trovavo nella stiva n.3. Ci salvammo in pochi. Riuscimmo a liberare due nostri compagni. Un certo Vituccio ed un altro (non mi ricordo il nome). Ci buttammo in un mare pieno di nafta che bruciava sull’acqua. Fummo ripescati dagli americani e ci portarono al cimitero. Quando si resero conto che ero vivo, mi trasferirono al Policlinico».