Pubblichiamo Il ricordo bello del regista bitontino Raffaello Fusaro, dopo la scomparsa del grande Gigi Proietti
Gigi Proietti ha accorciato la strada tra i sogni e la realtà per molti artisti.
Per me ha rappresentato una mappa personale che ho seguito tenacemente, senz’interruzioni, in modo consapevole e non. Ha significato la strada verso Roma. Un tragitto prima mentale, iniziato nella mia cameretta, poi fisico e poi addirittura metafisico.
Da ragazzino ho avuto la sensazione di assistere per la prima volta ad uno spettacolo quando ho visto Proietti in scena al Kursaal Santa Lucia di Bari. A me, come a molti, sembra d’aver scoperto il teatro con lui. Accade per ragioni indecifrabili che tali devono restare. Avviene perché alcuni fantasisti nel calcio e nell’arte, in scena e nella vita, sono portatori di energie così differenti che innamorano senza logica.
La sua smania elegantissima, gli occhi bistrati d’azzurro, il sorriso a denti bianchi in simmetrica corrispondenza con la camicia da smoking, la libertà di correre dentro i generi diventandone uno senza paragoni… tutto ha rappresentato una folgorazione.
Mio padre che, diciamolo, all’inizio non ha amato molto le mie scelte professionali, un giorno di tanti anni fa, mi ha donato un suo autografo con dedica. Era il dono di un padre ad un figlio che ha una mania tutta sua, e che il padre, pur non comprendendola, aveva accettato.
Quel foglietto giallo è ancora nel mio studio.
…dammi la forza di fare uno spettacolo che non voglia dire assolutamente niente, senza significati, allergico a tutti i contenuti. Uno spettacolo filante, curioso, non polemico, innocuo, asettico, privo di istanze, ingiudicabile ma intelligente, qualcosa che sia grande ma anche… leggero leggero…
Iniziava così Leggero leggero, il figlio di A me gli occhi please nato a inizio ‘90. Il suo baule era lo stesso degli anni ‘70, la geniale metafora del bagaglio dell’attore era ancora in proscenio. Accanto a lui c’erano tanti ragazzi di talento che ne avrebbero ereditato ed imitato molte caratteristiche. Ed alcuni sarebbero diventati miei grandi amici.
Proietti non è un grande attore della storia dello spettacolo italiano, è un’antologia intera di attori, un florilegio di modi, vezzi, tempi, carrellate. Una koinè che ha scartato il già sentito con invenzioni inarrivabili. Il suo urlo: “La regia non c’è!” alla fine del capostipite di tutti i suoi show, è il manifesto che cambia un’epoca teatrale.
Era naturalmente dotato dello spirito teatrale, quello che non dev’esser finto o vero, naturalistico o epico, perché si nutre solo del sangue vivo che scorre, da secoli, nelle vene dei grandi uomini di scena. E dire che tanti acidi maestri d’Accademia (anche miei) lo hanno giudicato sempre troppo popolare!
Da quegli anni ‘90 quanto l’ho studiato, capito, osservato! Al Teatro Olimpico, allo Stadio, al Teatro Brancaccio e ancora all’Auditorium…
Con grande ingenuità, all’inizio, ricordo di aver attraversato una Roma ancora sconosciuta per cercare la sua casa sulla Cassia. E a lui, anni dopo, dietro le quinte del Brancaccio, ho confessato qualcosa che non dimenticherò mai nella mia vita.
Una vera follia.
Da ragazzino, una sera del 2000, ho scavalcato, a Viale dello Stadio Olimpico, la recinzione verde per intrufolarmi alle sue prove generali. Ho assistito in silenzio ad uno spettacolo grandioso, piccolo ed acquattato nella curva dello stadio deserto ma abitato dalla sua voce indimenticabile, dal sudore della sua vitalità.
A scavalcare altri ostacoli… poi saranno la tenacia ed il destino.
L’ho incontrato, sia da attore di teatro dopo l’Accademia, sia da autore anni dopo.
Ho sentito probabilmente di non voler e poter vivere di solo teatro grazie a lui. Perché per me o si era come lui e pochi altri, o non si era. Sono gusti e sono i miei.
Per puro caso, per un periodo, ho poi vissuto sulla Cassia a pochi metri dalla sua villa. Iniziavo le mie prime timide regie, la penna provava a scorrere, e lui era sempre lì nella mia mente, con la stessa foga intatta del ragazzo magro del Teatro Tenda a Piazza Mancini in camicia bianca. Un ragazzo futurista a cui i capelli bianchi non avevano sottratto l’entusiasmo con cui era capace di andar a briglia sciolta per ore.
Da quel tempo irripetibile scritto con Roberto Lerici, dalla tenda che “era un dirigibile”, quel ragazzo era arrivato con il suo mistero sulfureo ed istintivo ad insegnarci cosa voleva dire stare in scena.
Io crescevo e leggevo a ritroso la sua storia, e crescendo restavo lo stesso ragazzino capace di far lunghe file o scavalcare cancelli per vederlo.
Potrei scrivere ancora a lungo tanto altro ma preferisco ascoltare questo silenzio.
Oggi Roma è immobile sotto una pandemia sanitaria e culturale. Galleggia spaesata sul Tevere in attesa che quest’aria da fine impero cambi.
Sembra tanto sola senza più gente in giro.
Annamo daje Roma, chi se fa pecorone er lupo se lo magna, abbasta uno scossone… la continuerà ad incitare Gigi, il ragazzo in camicia bianca dall’immenso talento misterioso che oggi si allontana dal mondo leggero leggero…