(di Donato Rossiello, Nico Fano)
Vi ricordate un nostro articolo, pubblicato il 3 maggio, dal titolo reboante “Il petrolio crolla, l’economia trema”? Avevamo analizzato il caso del drastico calo di prezzo al barile del Brent – arrivato sino a picchi negativi di -40 dollari – a causa del sopraggiungere e dilagare dell’emergenza pandemica da Coronavirus. Ma dove eravamo rimasti?
Concludemmo la disamina contrapponendo due scenari possibili: quello in cui il lockdown globale si sarebbe protratto così a lungo da rendere la benzina un bene in disuso, a quello di un progressivo recupero della normalità (nei trasporti, processi produttivi, etc…), ribadendo il ruolo cruciale del petrolio e dei suoi derivati.
“E mòue?” – chiederebbe incuriosito il nostro amico Ciccìlle. E avrebbe ragione, vi avevamo promesso di riparlarne.
Da allora potremmo validare la seconda opzione. La situazione si è stabilizzata e di conseguenza il rapporto dollaro/barile è tornato a valori di equilibrio, ovvero un prezzo conveniente per tutte le parti in causa del mercato (chi lo estrae, chi lo rivende, chi lo compra e trasforma). Una ripresa, insomma.
Eppure tra fine agosto e inizio settembre c’è stato un piccolo scossone in ribasso del listino, sino a raggiungere perdite del -20%.
Il petrolio, a prescindere, segue gli andamenti del mercato azionario a livello mondiale perché è un bene ciclico. In una situazione standard il suo utilizzo costante si traduce in consumo delle risorse a disposizione; quando un bene finisce (o sta finendo), anche in questo caso, porta a immaginare due prospettive: la domanda non diminuisce e le energie alternative non sono sufficienti per sopperire al fabbisogno umano, quindi il suo prezzo aumenterebbe pur non essendo note le quantità residue di estrazione/produzione, di contro esiste un quadro in cui le energie rinnovabili riescono a sostituire in maniera radicale il greggio, il cui esaurimento lascerebbe indifferenti.
Molte grandi compagnie petrolifere, come Total, Royal Dutch Shell e BP, sembrano puntare ad un futuro senza petrolio. Si investe in energie rinnovabili, acquisti di impianti eolici e ricerca. Anche l’italiana Eni si sta focalizzando sull’ambizioso processo di decarbonizzazione. Inoltre l’industria automobilistica punta ad un elettrico su larga scala entro gli anni ‘30. Il sistema bancario pare tagliare i finanziamenti alle energie tradizionali e ad alto impatto ambientale. Infine la politica è meno sorda alle istanze su clima e contrasto dell’inquinamento. Sì, potremmo definire la nostra come una fase di transizione verso una salvifica ecosostenibilità.
Tra qualche anno, chissà come sarà assistere alle impennate di Ciccìlle su una moto Zip convertita a zero emissioni!?