La richiesta di una maggior possibilità di partecipazione, da parte dei cittadini, alla politica e alla vita pubblica fu, insieme a quelli che abbiamo visto nelle puntate precedenti di questa rubrica, un altro dei tanti temi che iniziarono a farsi largo nell’opinione pubblica.
Abbiamo già accennato, domenica scorsa, parlando della nascita delle prime liste civiche, come, a partire dagli anni ’60, il tema della protesta urbana cominciò ad essere presente in Europa, portando alla nascita, nelle città, di movimenti sociali, comitati di cittadini, associazioni con un basso grado di strutturazione organizzativa, un’identità collettiva e il ricorso a forme d’azione fino a quel momento poco convenzionali. Movimenti che vedevano la protesta sociale come strumento per aumentarle risorse verso gruppi o comunità ritenuti emarginati, abbandonati o, in generale, poco considerati dalla politica tradizionale.
Realtà che – ripetiamo quanto abbiamo scritto nella puntata precedente – nacquero principalmente dalla crescita di un senso di sfiducia verso il sistema partitico e i suoi rappresentanti, a cui si contrapponeva la società civile, il semplice cittadino, l’uomo della strada che, senza più delegare le decisioni ai partiti, scende in campo contro l’immobilismo della politica, i suoi giochi di potere e, dunque, contro la classe dirigente locale. Questi movimenti, facendosi portavoce degli interessi del proprio territorio, spesso essi si posero in contrapposizione ai partiti romanocentrici. La città diventava, in quest’ottica, un’entità che vuole autogovernarsi, contro lo Stato, visto con scetticismo perché distante o indifferente dalle istanze dei singoli individui, accentratore. E talvolta anche la stessa amministrazione comunale era vista così, da parte di frazioni o quartieri in cui si annida una sensazione di abbandono da parte della politica tradizionale (la già citata protesta delle tessere elettorali di Mariotto del ‘70 e la richiesta di autonomia amministrativa da Bitonto ne fu un significativo esempio).
Un fenomeno che, dunque, portò la cittadinanza a reagire in diversi modi. Creando le liste civiche, di cui abbiamo già parlato. O con i primi esperimenti di comitati di quartiere, che proprio in quegli anni, in alcune città d’Italia, videro la luce e che abbiamo visto a Bitonto solo in anni recenti.
La nascita di questi ultimi risale a fine anni Sessanta, nonostante la vera esplosione del fenomeno si verificò negli anni ‘70. Specialmente nelle grandi città, come ad esempio Roma, fatte di periferie, borgate, quartieri periferici e molto distanti dal centro. Ambienti dove il senso di lontananza dalla politica tradizionale fu il fattore che portò alla diffusione di rivendicazioni da parte dei residenti, specialmente in quei quartieri nuovi creati tra gli anni ’50 e ’60, quando lo spostamento di moltitudini di persone dalle campagne alle città e il conseguente incremento demografico urbano aveva portato alla nascita di nuove periferie, spesso frutto di edilizia selvaggia, speculazione e abusivismo, in cui erano carenti o mancavano del tutto servizi essenziali.
I comitati di quartiere, dunque, furono strumenti di protesta civica e furono spesso sfruttati anche dalla sinistra, che delle rivendicazioni della periferia si fece per anni portavoce. Piccole palestre di democrazia e partecipazione, ma talvolta anche di retorica campanilista, spesso, nacquero attorno a carismatiche personalità locali magari prive di cultura politica, ma in grado di trascinare a sé consensi.
Fu in questo contesto che, nel ’76, per andare incontro a queste nuove istanze e per proseguire sulla strada del decentramento, avviata con l’istituzione di province prima e regioni dopo, furono istituiti i consigli circoscrizionali, assemblee pubbliche rappresentative delle zone in cui le città sono divise e articolazioni dell’amministrazione comunale. Ad introdurli nell’ordinamento italiano, fu la legge 278 del 1976 che prevedeva l’elezione dei membri da parte dei cittadini residenti nel quartiere. Naturalmente furono fenomeni che riguardarono principalmente le grandi città con grande estensione, numerosi quartieri e un numero elevato di abitanti. Dunque, più i capoluoghi di provincia che paesi come Bitonto. Ma ciò non significa che non se ne parlò.
«I consigli di circoscrizione rientrano nella tradizione dei cattolici italiani, come volontà a voler decentrare lo Stato. Già Luigi Sturzo, nel programma del Partito Popolare, poneva, come punto qualificante dello stesso, la regionalizzazione per rompere il potere centrale» furono le parole del senatore Antonino Murmura, della direzione nazionale della Democrazia Cristiana, in un incontro che, il 3 maggio 1976, si tenne a Bitonto: «Nelle grandi città, dove molto forte è la spersonalizzazione, si pensa di aver risolto tutti i problemi deponendo la scheda nell’urna, secondo la filosofia del “se lo volete voi, tutto si può risolvere”. I consigli di circoscrizione stanno, invece, a dimostrare come le riforme possono nascere dal basso, attraverso la lievitazione della partecipazione popolare. Essi devono svolgere un’azione comunitaria al servizio della cittadinanza».
Nel dibattito, il cui resoconto fu pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, intervennero diverse personalità del mondo cattolico bitontino. Michele Giorgio parlò della necessità di far conoscere la legge nelle scuole, nelle fabbriche, nelle associazioni culturali e nei partiti. Il professor Marco Vacca invitò a non partitizzare le circoscrizioni, per evitare di falsare la concordia, a suo dire, ancora esistente nei rioni. Il professor Giuseppe Longo che vide nel nuovo organo amministrativo uno strumento indispensabile per passare dalla democrazia delegata alla democrazia partecipata. L’avvocato Riccardo Tisbo illustrò le funzioni sostitutive e quelle integrative delle circoscrizioni. Giovanni Memoli sostenne che queste avrebbero aiutato ad avere maggiore oculatezza nella spesa del denaro pubblico. L’ex sindaco Domenico Saracino invitò tutti i cittadini a sentirsi partecipi. Il ragionier Vincenzo Castro denunciò l’incapacità della classe dirigente di recepire le istanze della base.
Alla fine del dibattito, intervennero il senatore Vito Rosa che ribadì che le circoscrizioni avrebbero portato maggior partecipazione dei cittadini al governo della città e, per un saluto, l’avvocato Salvatore Liaci, vicesindaco ed esponente della sezione cittadina del Partito Comunista Italiano.