La domanda che (ci) rimbomba da lunedì pomeriggio è una sola e non ha neanche una risposta: “Che ne sarà adesso di Bitonto?”. E quindi: Come sarà trattato un importante centro di quasi 60mila abitanti adesso che è riuscito, con le sue mani ma anche quelle di altre, nella grande impresa di non far sedere nessun suo rappresentante nel parlamentino regionale?
Già, perché il primo dato autolesionista di una città che continua a non voler crescere politicamente (anche per colpa di una classe dirigente miope ma assai arguta e sveglia quando si tratti di “venderci” per 30 danari o incarichi personali) è che, pur avendo avuto più gente alle urne rispetto a cinque anni fa, ha deciso di sparire dalle sedi che contano.
Già, perché siamo stati talmente bravi e intelligenti nel non marciare il più compatti possibili verso il solo consigliere (dei dieci in lizza) che poteva nutrire qualche speranza di elezione: Domenico Damascelli. Per giunta uscente e attivissimo nella legislatura appena conclusa.
Perché è successo questo? C’è un aspetto, innanzitutto, inconfutabile. Il sindaco Michele Abbaticchio esce sconfitto da queste consultazioni. Sia perché, “Italia in comune”, dopo un inizio incoraggiante e i primi successi che avevano illuso un po’ tutti, non ha superato la soglia del 4 per cento né alle Europee 2019, né a queste consultazioni. Con l’aggravante, questa volta, di essersi illuso dopo le prime sezioni con tanto di dichiarazioni trionfalistiche.
A Bitonto, poi, si è fermato al 14 per cento, il secondo partito della coalizione di centrosinistra. Ma siamo sicuri che, con lui in prima linea, due candidati, consiglieri e assessori comunali in carica, la presenza di un vicepresidente della Regione uscente, sia davvero un bel risultato?
Sia perché il primo cittadino, convinto di sentirsi ancora il deus ex machina di tutto, si è messo in testa di decidere le sorti della città per queste elezioni. Ha voluto di dimostrare di essere (ancora) il migliore di tutti. Il più bravo. E capace di dettare, direttamente e indirettamente, sorti e destini di candidati prima (magari presi pure da altre liste, come Domenico Nacci, che quindi mai avrebbe messo d’accordo l’intero movimento) e della città a 360 gradi poi. Che tutto, insomma, deve passare ancora dal suo vaglio e dalle sue volontà.
Cosa ha ottenuto? L’affossamento e un grossissimo contributo alla frammentazione dei voti. E una serie di errori clamorosi. E l’avere capito che magari, rispetto a qualche anno fa, qualcosa è cambiato.
A tutto questo, poi, si aggiunge, ed è forse più grave perché è una malattia che non va mai via, la tendenza dei bitontini (non tutti, si intende, chiaramente) a votare candidati forestieri, che da anni vedono la città dell’olivo come un fertile bacino di voti e trampolino di lancio per le proprie carriere.
E adesso, sempre per quel famoso autolesionismo di cui sopra, siamo aggrappati a questi signorotti per avere un po’ di rispetto e un po’ di dignità. Che noi non abbiamo avuto neanche questa volta.
Ma c’è un aspetto che non abbiamo affatto considerato: se siamo noi stessi i primi a non volerci bene, come possiamo pretendere che possano farlo altri?
Ed ecco allora: “Che ne sarà adesso di noi?”