Quella di questa domenica, il dì in cui siamo chiamati a decidere su taglio dei parlamentari e pure di rinnovare qualche Consiglio regionale qua e la per lo Stivale, è una storia davvero difficile da scrivere. Mette a crudo un qualcosa di orribile e terribile: la crudeltà umana nella sua forma più esasperata. Più malvagia. Perversa. Malata. E laddove non dovrebbe nemmeno albergare: in famiglia, per secoli ritenuto il nido immune e protettore dalla violenza che albergava al di là del focolaio domestico.
Siamo negli Stati Uniti, anno domini 2013. Tutto inizia il 22 maggio, allorchè Gabriel Fernandez è ritrovato nella sua casa in California con il cranio fratturato, le costole rotte, bruciature e lividi su tutto il corpo.
Chi è Gabriel? Un bambino di soli otto anni. Già soltanto otto candeline spente. È trasportato in ospedale, dove però la morte lo abbraccia dopo appena 48 ore.
Perché era stato ridotto così? I colpevoli sono la mamma e il compagno, che per mesi hanno lo torturato senza pietà.
Succede, infatti, che Gabriel è costretto a subire qualcosa di terribile. Sembra la trama di un film horror, ma è tutto crudelmente vero.
Una escalation di squallore senza fine.
Pochi giorni prima della morte, era stato coperto di spray al pepe, costretto a mangiare il proprio vomito e rinchiuso in un armadio con un calzino in bocca per soffocare le sue grida. Erano mesi che Pearl e Isauro, madre e compagno di lei, andavano avanti così. Secondo la ricostruzione fornita dai fratelli della vittima, Gabriel era stato costretto a mangiare feci di gatto e spinaci andati a male. Veniva regolarmente picchiato con la fibbia della cintura, con spranghe di metallo e, un giorno, la madre gli ha fatto saltare i denti con un colpo di mazza sulla bocca.
Non è tutto, perchè Gabriel non poteva andare in bagno e veniva chiamato in modo dispregiativo “gay”. Andava a scuola con abiti femminili ed era stato costretto a scrivere una lettera in cui annunciava il suo suicidio.
Quel 22 maggio, poi, è l’apocalisse. Gabriel commette l’errore madornale di non voler sistemare i giocattoli, e questo ha scatenato la reazione incontrollata di Pearl e di Isauro. Per il resto basta leggere quanto già scritto.
Gli abusi avevano portato a diverse segnalazioni da parte della scuola ai Servizi sociali ma, ogni volta che veniva effettuato un controllo a casa, alla fine tutto si risolveva con un buco nell’acqua. E questo proprio i due fratelli della vittima, per paura di ricevere lo stesso trattamento, mentivano spudoratamente.
Al processo che ne è seguito, però, i due fratelli sono stati fondamentali per capire come si siano svolti i fatti, fornendo dichiarazioni per ben 800 pagine. E a sottolineare una cosa: Gabriel sarebbe stato torturato e picchiato per la presunta omosessualità.
I giudici a stelle e strisce hanno condannato Pearl all’ergastolo e il suo compagno alla pena capitale.
Qualche mese fa, la piattaforma streaming “Netflix” ha dedicato un documentario di sei puntate sulla vicenda (“The Trials of Gabriel Fernandez”) in cui, oltre a concentrarsi si concentra sul processo a carico dei due responsabili, mette a fuoco le colpevoli mancanze del sistema dei servizi sociali, che non sono riusciti ad accorgersi in tempo della tragedia in atto.
Quattro assistenti sociali, infatti, sono stati accusati di abusi su minori e falsificazione di documenti. Tutto respinto, però, dai giudici californiani.