Abbiamo, finora, parlato delle nuove forme di aggregazione che, tra gli anni ’60 e gli anni ’70, nacquero e si imposero in politica, captando nuove istanze che erano sempre più sentite dall’opinione pubblica, nonostante, spesso non fossero riconosciute dai partiti di allora, sempre più disorientati, sia per la crisi economica, sia per le contestazioni, di cui spesso erano oggetto. Movimenti e realtà che, come abbiamo già accennato la volta scorsa, citando lo storico Pietro Scoppola, agivano talvolta a fianco, talvolta conto i partiti, sconvolgendo le vecchie frontiere tra destra e sinistra e intaccando tutte le appartenenze di partito. Nuove issues, per usare la lingua inglese, che si frapposero alle tradizionali appartenenze partitiche su cui si reggeva il sistema dei partiti dell’epoca, iniziando ad eroderle. Non solo a livello nazionale, con la comparsa di nuovi movimenti nati sulla scia dei nuovi temi diffusi con le contestazioni giovanili (femminismo, ambientalismo, pacifismo, attivismo lgbt).
Nuove forme di aggregazione si svilupparono, infatti, anche nei singoli comuni, in cui cominciarono ad affacciarsi nuovi movimenti prima e soggetti politici poi che operavano entro confini ristretti, principalmente quelli delle città, dei singoli comuni. Soggetti che, quando decidevano di scendere direttamente in politica, costituendo vere e proprie liste, o presentavano propri candidati o appoggiavano candidati di coalizioni più ampie che condividessero una causa comune. Parliamo dei movimenti locali, delle liste civiche, che, con il loro sempre maggiore protagonismo, furono effetto ma, allo stesso tempo, causa dell’indebolimento dei partiti tradizionali.
Il tema della protesta urbana cominciò ad essere presente in Europa già a metà degli anni ’60, quando iniziarono a diffondersi, nelle varie città, movimenti sociali, comitati di cittadini, associazioni con un basso grado di strutturazione organizzativa, un’identità collettiva e il ricorso a forme d’azione fino a quel momento poco convenzionali. Movimenti che vedevano la protesta sociale come strumento per aumentarle risorse verso gruppi o comunità ritenuti emarginati, abbandonati o, in generale, poco considerati dalla politica tradizionale. Nacquero, dunque, principalmente dal declino della fiducia verso il sistema partitico e i suoi rappresentanti, a cui si contrapponeva la società civile, il semplice cittadino, l’uomo della strada che, senza più delegare le decisioni ai partiti, scende in campo contro l’immobilismo della politica, i suoi giochi di potere e, dunque, contro la classe dirigente locale. Ma non solo. Facendosi portavoce degli interessi del proprio territorio, spesso essi si posero in contrapposizione ai partiti romanocentrici. La città (o, come vedremo a Bitonto, parte di essa, una sua frazione) diventava, in quest’ottica, un’entità che vuole autogovernarsi, contro lo Stato, visto con scetticismo perché distante e indifferente dalle istanze dei singoli individui, accentratore.
Prima degli anni ‘70, con un sistema partitico strutturato e ancora molto forte, il fenomeno era ridotto e limitato a comitati elettorali dissenzienti dai partiti di provenienza e liste autonomiste. Queste ultime soprattutto al Nord, come vedremo più avanti accennando alla nascita di partiti autonomisti come la Lega Nord e agli studi di Robert Putnam sulle differenti tradizioni civiche tra le regioni settentrionali e quelle meridionali italiane. Ma non è di questo oggi, che vogliamo parlare.
A partire dagli anni ’70 si sviluppò una nuova forma di espressione della cittadinanza attiva, in parte alternativa e in parte complementare alle forme convenzionali di partecipazione politica, attraverso la proliferazione delle organizzazioni di attivismo civico.
Preferiamo, oggi, concentrarci sulla nascita del variegato fenomeno dell’attivismo civico, che, quindi, vide il sorgere di associazioni di cittadini che vogliono influenzare la sfera pubblica, occupandosi, ad esempio, di tutela dei diritti, cura dei beni comuni e sostegno a soggetti in condizioni di debolezza. Associazioni che non aspiravano più a rappresentare interessi generali delle rispettive comunità di riferimento, come i partiti tradizionali, ma che si proponevano di tutelare i diritti della totalità dei cittadini. Un fenomeno, questo, che è anche il frutto del la crescita dei compiti dello Stato e della richiesta sempre maggiore di tutele da parte dei cittadini, vessati da problemi a cui lo Stato non sempre riesce a dare una risposta a causa, secondo l’idea di fondo del civismo, della noncuranza delle istituzioni, degli eccessi della burocrazia, del prevalere di meccanismi di mercato, dell’inconciliabilità di interessi pubblici contrastanti. Ed è questo, dunque, nell’ideologia di fondo di questa marea di movimenti che sorsero nei comuni, il motivo per cui la società civile deve organizzarsi da sé e affrontare questi problemi.
Fanno parte di questo variegato mondo civico cooperative e imprese sociali, associazioni di consumatori, associazioni ambientaliste, organizzazioni di volontariato, movimenti sociali, comitati locali, gruppi di autoaiuto, associazioni civiche a difesa della legalità, centri di consulenza e supporto dei cittadini e tanti altri tipi di associazioni che, spesso, rimasero dei semplici movimenti. Ma talvolta entrarono direttamente nell’arena politica sfidando la politica tradizionale o influenzando le decisioni politiche attraverso la partecipazione ai dibattiti pubblici, l’organizzazione di manifestazioni e mobilitazioni di cittadini. Attività che abbracciavano quasi tutti i settori: dalla tutela del territorio e del patrimonio culturale alla sostenibilità ambientale, dalla tutela dei diritti alla lotta alle discriminazioni. Senza dimenticare inclusione sociale, istruzione, la sanità, assistenza sociale, giustizia, ordine pubblico e sicurezza, informazione, economia sostenibile.
Di una di queste prime forme di protesta urbana in città abbiamo già avuto modo di parlare quando, ricordando le elezioni regionali del ’70, parlammo di un’iniziativa di protesta avviata a Mariotto da un gruppo di studenti e operai che, appostati in piazza Roma, con un tavolo e un cestino, invitarono i cittadini della frazione a non votare e a riporre lì dentro la tessera elettorale.
Al grido di «A Mariotto non si vota e chi vota è un traditore», i manifestanti lamentavano l’assenza della rete idrica e fognaria, problemi che, all’epoca, erano rimasti ancora insoluti, e proponevano l’autonomia amministrativa per la frazione. A consegnare la propria tessera, stando a quel che riporta la Gazzetta del Mezzogiorno in data 26 maggio 1970, «solo gli appartenenti ad un circolo socialista e alcuni cittadini», mentre l’iniziativa venne criticata da altri ambienti e attribuita a «pochi elementi “anarchici” bene individuati». Sempre i critici ricordarono anche che la raccolta dei certificati e l’incitamento all’astensione, avrebbero costituire reato.
«Circa 600 elettori su 860 hanno spontaneamente deciso di rinunziare al diritto di voto, perché stanchi di essere considerati cittadini di serie B» spiegarono gli organizzatori, smentendo chi additava l’iniziativa di essere stata organizzata da socialisti ed anarchici.
La vicenda si concluse con la denuncia di otto degli organizzatori, accusati dell’indebita raccolta dei certificati elettorali e della devastazione dei campi di alcuni di coloro che avevano deciso di votare normalmente.
Ma, al di là delle vicende di cronaca, in questa sede poco interessanti, la protesta mariottana, insieme alla comparsa di liste civiche a Canosa, Barletta, Polignano, Altamura, spinse, qualche giorno dopo, il giornalista Antonio Rossano a porsi un importante quesito sulle pagine della Gazzetta: «Il fenomeno delle liste locali: ansia di partecipazione o ventata di qualunquismo?».
«Intanto, a Mariotto, un gruppo di persone prende l’iniziativa di depositare, polemicamente, i certificati elettorali in un’urna improvvisata. Non sono molti, ma bastano per sollevare inquietanti interrogativi» scrisse Rossano tra le righe dell’articolo dal titolo “Quando si vota per il proprio campanile”: «Cosa succede? Perché? Si tratta di una polverizzazione dovuta all’esplosione di dissidi locali, di piccoli fatti personali che diventano problemi di partito, di malintese questioni di prestigio di campanile o è, invece, più ottimisticamente, la crescita autonoma di gruppi spontanei, di gente resa impaziente e polemica dall’ansia di una più autentica e reale partecipazione democratica alla vita comunale? La risposta degli ambienti ufficiali dei partiti è negativa. Si tratta, dicono, di gruppi nati talvolta sotto la spinta di una pericolosa ventata di qualunquismo, che riflette l’ormai noto discorso sul distacco fra paese e partiti. Un distacco che sembra farsi più marcato in certi piccoli centri di provincia, dove le polemiche sulle formule, i discorsi sugli schieramenti internazionali arrivano attutiti, mentre non si capisce bene perché certe strade non siano asfaltate solo perché la giunta locale deve calibrare i rapporti di forza fra questa o quella corrente all’interno dei vari gruppi politici».
Il giornalista intravide, nel fenomeno, una crescente avversità ai partiti e alla politica tradizionale, come spiegò attraverso le parole dell’allora segretario provinciale della Democrazia Cristiana Angelo Schittulli: «Se fosse ansia di partecipare alla vita democratica, sarebbe, in fondo, un fatto positivo. Ma in molti si avverte come un’avversione profonda per i partiti, il gusto di abbattere, demolire, ma senza alcuna prospettiva. Queste liste di disturbo potranno anche rendere difficile la composizione di giunte, se si porteranno dietro una carica antipartitica, comunque negativa».
E fu sempre a Mariotto che nacque un’altra associazione autodefinitasi “Comitato pro Mariotto”. Un comitato dai tratti più prettamente politici, come si può leggere tra le righe del comunicato, pubblicato sempre dalla Gazzetta, del signor Costantino Piscopo, che aveva rassegnato le dimissioni denunciando la chiusura, da parte della componente socialdemocratica, ad altre forze politiche e sindacali esistenti a Mariotto.
Negli anni ’80 nuovi comitati, movimenti e associazioni sorsero. E ancora una volta le frazioni furono terreno fertile del fenomeno, a causa di quella crescente insoddisfazione causata dal ritardo nella risoluzione dei problemi più urgenti.
«La popolazione di Mariotto è in stato di agitazione nei confronti delle amministrazioni bitontine, succedutesi nel tempo, a causa di una lunga serie di problemi, alcuni di fondamentale importanza, tuttora irrisolti – spiegò il comunicato pubblicato sul “da Bitonto” di maggio ’84 –. Basti pensare, per dirne una, che nelle frazioni è ancora inesistente la rete fognante, nonostante le continue promesse e le assicurazioni fatte nel tempo dagli amministratori di turno. Ma, evidentemente, i mariottani non sono più disposti a subire mortificazioni e violenze, per cui, ora più che mai, avvertono l’esigenza di assurgere a livelli che caratterizzano un vivere civile e al passo coi tempi. Tale obiettivo sarà raggiunto ad ogni costo, dicono alcuni cittadini, magari anche con varie forme di protesta».
Nell’aprile ’88, infine, nacque il centro “La Chimera”, che si dichiarava apolitico, ma che, sempre riprendendo il tema dell’abbandono del territorio, si proponeva di agire per il bene della comunità di Mariotto e Palombaio, denunciando il loro status di “villaggi-dormitorio” e cercando di sottrarre i ragazzi alla strada.
Ovviamente, anche a Bitonto nacquero movimenti e liste civiche, che si posero spesso in contrapposizione con la politica tradizionale e con i partiti. Ne citiamo alcuni tra i più rilevanti.
Nacquero sia a destra, sia a sinistra. Di chiara provenienza di destra era, ad esempio, il “Movimento per Bitonto”, nato nel gennaio ’87, di cui furono esponenti, tra gli altri, Franco Tassari (che fu anche segretario) e Felice Trotta. In una lettera al presidente della Repubblica Cossiga, facendo proprio il tema securitario, chiese la riattivazione della tenenza dei carabinieri, il rafforzamento della locale Polizia di Stato, il potenziamento del corpo dei Vigili Urbani, per affrontare il fenomeno criminale in città. Si definì centro di politica e cultura e, negli anni ‘90, scese direttamente in campo per il consiglio comunale e per la carica di sindaco. Molto sensibile al tema della lotta alla droga, che in quegli anni stava falcidiando molti ragazzi anche a Bitonto, nell’88 fu anche coinvolto in uno scambio di accuse con i Giovani comunisti che additavano il MpB di fascismo, in particolar modo per come affrontava il contrasto alla droga.
Di centrosinistra, invece, era il Movimento “Città nuova” che nel ’90, appoggiandosi alla lista dei Verdi, riuscì anche ad avere un proprio rappresentante, nella persona del professor Marco Vacca, prima in consiglio comunale e poi in giunta.
Nell’ottobre ’89 nacque, infine, l’associazione Comune Verde che si proponeva di potenziare le aree verdi, tutelare il centro storico, razionalizzare il traffico, che inizia a parlare di pedonalizzazione del borgo antico.
Se comunque, nella cosiddetta Prima Repubblica, nonostante il proliferare di queste nuove realtà fosse già cominciato, fu con la crisi dei partiti degli anni ’90 che il fenomeno si espanse notevolmente e si trasformò.
Sempre cavalcando il leit motiv dei partiti che decidono nelle segrete stanze, senza tener conto dell’uomo della strada, dagli anni ’90 abbiamo assistito ad una proliferazione di liste civiche, che si diversificarono anche nella tipologia: dalle liste monotematiche fedeli ad una causa da portare avanti in consiglio comunale, alle liste personali a sostegno del candidato sindaco. Esperienze, però, che spesso, ancora oggi, non sopravvivono alla campagna elettorale e che, strumentalizzando il tema della partecipazione, si riducono, in molti casi solo, a liste di candidati che, come ben spiegò Mauro Calise in “Il partito personale”, servono solamente a “servire il principe”, a favorire, cioè, la vittoria del candidato sindaco, svanendo subito dopo l’esito elettorale. Ma, di tutto ciò, ci soffermeremo in un’altra occasione, quando esamineremo la diffusione di queste liste a partire dagli anni ’90.