La verità è che il virus, la scuola, ce l’aveva già da tempo. E non è una questione di morbo subdolo e invisibile, ma di persone incompetenti e facilone. E sì che ne ha passate questa istituzione tanto malconcia: un rovinoso susseguirsi di ministri di ogni sfumatura cromatica e qualsivoglia collocazione perfettamente ignari delle reali esigenze di un mondo variegato e complesso, sempre mossi da un criterio dirimente di natura economica ispirato alla figura di Edward Manidiforbice e giammai sul valore del merito e della qualità; prova drammaticamente lampante ne sia l’accorpamento non sempre avveduto di istituti in orizzontale e in verticale, diversissimi fra loro, solo per risparmiare su dirigenze e segreterie con le succursali lasciate nel più totale abbandono; credo siano davvero pochi gli istituti lungo lo Stivale che non siano fatiscenti e privi delle barriere architettoniche; una didattica disastrosamente polverizzata in mille progetti e progettini- che, spesso, si pappano le vecchie volpi fameliche -; programmi superbamente obsoleti e, al di là di un’apparente attualizzazione della terminologia sempre più algidamente burocratica, ancora perlopiù nozionistici; una interpretazione sin troppo pedissequa dell’obbligatorietà che sovente destina ai banchi invincibili, scioperati somari; infine, una classe docente schernita dal resto del mondo, nonostante la maggior parte sia composta da onesti e infaticabili professionisti (eggià, trattasi proprio di professionisti, perfezionati, specializzati e abilitati e trattati- con rispetto parlando- da uscieri), che nell’opinio communis restano i sovrani della 104 e “quelli che si fanno due mesi di vacanze”. Ecco perché, all’apparire dell’epidemia, questa fragile mascherina è fatalmente crollata. Avevano mesi per pensarci nelle dorate stanze capitoline, ma puntualmente son rimasti con le mani in mano e la titolare del Ministero, che sembra un’esclamazione prendingiro, è riuscita a dire tutto e il contrario di tutto giorno dopo giorno, per arrivare così a settembre nella più tragica incertezza. Ingressi dei discenti scaglionati (col rischio serio che la prima vocale si muti in “o”), le ore da 50 minuti, i protocolli da rispettare, tampone sì tampone no, tampone forse, test sierologici vedi sopra, misurazione della temperatura corporea a carico dei genitori, desiderosi di spedire al parcheggio quotidiano i pargoletti, i banchi monouso con le rotelle pronte per i gran premi per i corridoi, la stanza per il Covid lì dove non c’è manco la sala docenti, quel piccolo Lopalco che dovrà essere il referente per il Coronavirus; la Dad in agguato perenne, pure nella versione dimidiata: un calderone dominato da imbarazzante caos. Insomma, stiamo messi male e i collegi, i dipartimenti e i corsi di recupero sono già partiti. Un po’ per via telematica un po’ in presenza. Tanto in assenza – totale, disperante, irrimediabile – restano il buonsenso, la competenza e l’intelligenza di chi ci governa.