DEL PROF. NICOLA FIORINO TUCCI, SOCIETÀ DANTE ALIGHIERI, COMITATO BITONTO
Nella notte fra il 13 ed il 14 settembre del 1321, di ritorno da un’ambasceria diplomatica a Venezia, si spegne a Ravenna, all’età di 56 anni, Dante Alighieri, dopo aver contratto la malaria nell’attraversare le paludi di Comacchio.
Muore confortato dai figli che era riuscito, da tempo, a riunire a sé, prima, a Verona (1316) e, poi, a Ravenna (1318), dov’era ospite di Guido Novello da Polenta, potente signore della città e nipote della più famosa Francesca (l’amante di Paolo Malatesta, per intenderci). Infatti, Jacopo, Pietro ed Antonia Alighieri (ma sembra definitivamente appurato che ci fosse anche un quarto figlio, Giovanni, per alcuni studiosi addirittura il maggiore) soggiornavano da qualche anno nella città romagnola, come confermano Boccaccio ed altri autori del Trecento.
Non era presente alla morte di Dante la moglie, Gemma di Manetto Donati, che sappiamo ancor viva nel 1329, quando vinse un contenzioso legale con il Comune fiorentino, per recuperare il denaro della sua dote, ed esser morta a Firenze prima del 1343.
Quest’assenza indusse il Boccaccio ad esprimere su Gemma un giudizio poco lusinghiero nel suo Trattatello in laude di messer Dante Alighieri, la fonte più autorevole, anche se non sempre attendibile, per la biografia del Poeta. Le poche altre informazioni sulle caratteristiche fisiche e morali del Poeta, fornite nell’operetta citata, sono dovute, forse, ai tre viaggi del Boccaccio a Ravenna dove egli incontrò Antonia Alighieri, monacatasi sotto il nome di suor Beatrice (toh, ma guarda!) nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi, in cui morì poco prima del 1371, ben cinquant’anni dopo il padre.
Ci spieghiamo così perché il ritratto fisico di Dante presentato nel Trattatello non corrisponda a quelli pittorici a noi pervenuti (da Giotto a Signorelli) se non nel particolare del naso aquilino: Boccaccio afferma che Dante portasse la barba, avesse i capelli neri e crespi, fosse di carnagione olivastra e statura mediocre (forse, meno di 1,60). Non sembra, inoltre, che Dante fosse preparato alla morte se è vero che aveva accettato di buon grado la missione diplomatica propostagli da Guido da Polenta a Venezia e non aveva scritto alcun testamento né provveduto a dettare le modalità di seppellimento.
È interessante ricordare che, a Ravenna, il Poeta aveva intessuto una fitta rete di relazioni e di amicizie, grazie alle quali era riuscito anche a trovare una sistemazione adatta per i suoi figli, che, nel 1321, erano già grandicelli: Jacopo, il maggiore, canonico a Verona, aveva 32 anni, Pietro, magistrato, anch’egli a Verona, e critico letterario, era sui 25, Antonia, monaca a Ravenna, qualche anno in più. Ma anche a costituire un circolo letterario molto attivo che vantava nomi illustri ed intratteneva rapporti molto stretti con intellettuali bolognesi e veronesi. I funerali furono solenni e celebrati a spese di Guido Novello da Polenta, mecenate ed intellettuale, che tenne un’orazione funebre ufficiale, davanti ad una folla numerosa nei pressi della casa in cui Dante aveva soggiornato, e si impegnò nel dare degna sepoltura al Poeta, destinandogli un cenotafio, realizzato, però, molto tempo dopo (a metà del Quattrocento) perché Guido fu cacciato da Ravenna il 1322.
La morte di Dante fu un evento dalla notevole risonanza per l’epoca come testimonia una sorprendente ed abbondante produzione di epitaffi celebrativi, lettere commemorative e riferimenti, allusioni e citazioni in opere di vario tipo, a noi pervenuti (degno di nota il lungo ricordo di Giovanni Villani nella sua Cronica).
A tanto materiale documentario (in nostro possesso) si aggiunge il dilagare di commenti, chiose e sintesi della Commedia il cui successo fu pressoché immediato: agli anni 1322 – 1350 risalgono, infatti, ben 100 manoscritti della Commedia e decine di Commenti relativi ad essa! Il Boccaccio ricorda, fra i tanti che celebrarono la morte di Dante, Giovanni del Virgilio, grande intellettuale bolognese, che scrisse un epitaffio in cui definì il Sommo Poeta theologus; ma composero poesie commemorative Cino da Pistoia e numerosi altri (Ferreto Ferreti, Bernardo Scannabecchi, Rinaldo Cavalchini, Menghino Mezzani) a testimoniare ammirazione, stima e devozione per un grandissimo intellettuale al quale, a 700 anni dalla morte, ci accingiamo a tributare il nostro omaggio nei prossimi mesi. Sperando che non sia solo un doveroso tributo. Ma l’espressione di una sentita identità culturale.