«Turatevi il naso, ma votate Dc!».
La citazione, come sapranno in molti, tra i lettori di questa rubrica, è del giornalista Indro Montanelli, che si appellò così agli elettori, durante la campagna elettorale del 1976. Citata più e più volte negli anni a seguire, la metafora del votare turandosi il naso è entrata ormai nel lessico comune, per indicare un voto dato, sia pur controvoglia, ad una forza politica che non piace, per evitare conseguenze ben peggiori. E, in quell’occasione, le conseguenze ben peggiori, per il giornalista, erano rappresentate dalla vittoria dei comunisti alle politiche di quell’anno. Come abbiamo già visto, infatti, nel precedente appuntamento di questa rubrica, le elezioni regionali e provinciali del ’75 videro una flessione dei consensi per la Democrazia Cristiana a vantaggio del Partito Comunista Italiano, avvantaggiato dall’estensione del voto ai ragazzi dai 18 ai 20 anni e dalle vittorie ottenute nei primi anni Settanta sul fronte dei diritti dei lavoratori.
Un dato che fu salutato con entusiasmo dai comunisti e con preoccupazione dai cattolici. I primi speravano, mentre i secondi temevano, il sorpasso comunista alle politiche del 20 e 21 giugno ’76. Sentimenti che si trascinarono per un anno e che influenzarono la campagna elettorale di quell’anno.
Da parte cattolica, il timore era aggravato dalla consapevolezza di un ridimensionamento dei consensi che si era anche manifestato in occasione del referendum sul divorzio del ‘74, che, per loro, fu una dolorosa e preoccupante sconfitta.
«È un referendum. Fra quaranta giorni saremo chiamati a scegliere non un partito, e nemmeno un governo, ma un regime. Ecco perché tra direttore di giornale e lettori, dobbiamo fra noi parlarci chiaro, occhi negli occhi» fu la premessa di Montanelli all’invito a votare Dc turandosi il naso.
La situazione politica e sociale dell’Italia continuava ad essere molto calda. Con tendenze al peggioramento, dal momento che, alla violenza del terrorismo nero, iniziò ad aggiungersi, a metà del decennio, anche quella delle Brigate Rosse, che raccolsero la frangia più estremista del movimento sessantottino, mentre il clima di contestazione si andava progressivamente placando. Dal punto di vista economico, le conseguenze dello shock petrolifero del ’73 continuavano a farsi sentire pesantemente, mentre, sul lato strettamente politico, la VI legislatura, aperta dalle consultazioni elettorali del ’72, era stata caratterizzata da una profonda instabilità e dalla litigiosità delle forze politiche di maggioranza e tra le correnti della stessa Dc. Sin dalla prima metà del decennio si alterarono al potere due correnti della Democrazia Cristiana: quella di sinistra, guidata da La Malfa e Rumor, e quella centrista, di cui Andreotti e Cossiga furono i massimi esponenti. Si avvicendarono, dunque, governi di centro-sinistra, con la partecipazione dei Socialisti e dei Socialdemocratici, e governi centristi che poggiavano sull’alleanza della Dc con i repubblicani e i liberali. In quattro anni, furono ben cinque gli esecutivi che si susseguirono. All’Andreotti II (giugno ’72 – luglio ’73) seguirono il Rumor IV (luglio ’73 – marzo ’74) e il Rumor V (marzo ’74 – novembre ’74). Ai due governi Rumor, poi, seguirono due nuovi governi Moro (il quarto, dal novembre ’74 al febbraio ’76 e il quinto, da febbraio ’76 al giugno ’76).
Il clima sin qui descritto, ovviamente, si rifletteva anche a Bitonto che, in quell’anno, era chiamata anche a rinnovare il consiglio comunale, che, cinque anni prima, era tornato sotto la guida socialista, dopo una decennale parentesi democristiana. La Dc sperava di recuperare i seggi persi, ben sette, la gran parte dei quali era andata, alle elezioni di cinque anni prima, ai missini che erano riusciti a portare in aula consiliare ben cinque consiglieri. Ovviamente il partito neofascista puntava a conservare la posizione guadagnata nel ’71, mentre le forze di governo cittadino (Psi, Psdi e Pdup, confluito in Democrazia Proletaria) puntavano a replicare l’esperienza, sotto la guida di Domenico Larovere, uomo di punta del socialismo bitontino e capolista alle amministrative, che in un’intervista alla Gazzetta, rivendicò i successi ottenuti nel quinquennio precedente, nonostante difficoltà di bilancio, il forte peso della disoccupazione, la scarsa capacità della città di sfruttare le risorse locali, come l’olivicoltura. Lodi confermate anche dal quotidiano comunista “L’Unità”, che criticò sia il governo nazionale, colpevole di aver dato pochi soldi al Sud, alla sua agricoltura e ai suoi ospedali, di non aver difeso i contadini dalle prevaricazioni degli agrari, sia il senatore democristiano Vito Rosa che, parlando nella scuola elementare Cassano, davanti ai componenti della squadra di pallavolo Antares (a cui, secondo il quotidiano di sinistra, aveva elargito 4 milioni), disse di essersi interessato al caso Hattermarcks (azienda in crisi con i lavoratori senza stipendio), facendo arrivare ben 100 milioni per i lavoratori. Affermazioni false, secondo l’Unità, che accusa Rosa di voler speculare sulla vicenda per ottenere il voto dei lavoratori.
«Il Psdi non deve lasciarsi prendere dalla stanchezza, dalla sfiducia e dalla rassegnazione a non poter risollevare la situazione politica ed economica del Paese. È opportuno ed inderogabile che i socialisti democratici, che hanno ridefinito e ridisegnato la propria collocazione a Firenze, adottino soluzioni coraggiose e progressiste, per fare uscire l’Italia dalla grave crisi da cui è attanagliata» fu il commento del segretario provinciale Giuseppe Abbati all’assemblea degli iscritti che si tenne il 10 aprile ’76 nella sede bitontina del Psdi, a cui seguì un altro appuntamento organizzato dalla sezione giovanile del partito in cui Vincenzo Fiore, della direzione provinciale, e Mimmo Magistro, segretario provinciale dei Giovani Socialdemocratici Italiani, parlarono di politiche giovanili e del ruolo dei giovani in politica.
Un tema a cui, volenti o nolenti, tutte le forze politiche erano costrette a prestare attenzione, come dimostrano anche le brevi righe con cui la Gazzetta del Mezzogiorno descrive la preparazione della città di Bitonto all’appuntamento elettorale, il 18 maggio: «Le segreterie dei partiti sono al lavoro per gli ultimi ritocchi alle liste dei candidati per le prossime elezioni amministrative. In ogni partito ci sono state delle volontarie rinunce, anche di uomini di rilievo, per far posto a forze nuove ed ai giovani».
Anche il Partito Repubblicano organizzò un convegno, in cui intervenne il senatore ed ex magistrato Michele Cifarelli, per parlare della situazione politica del tempo e del ruolo che il Pri aveva svolto nella legislatura che si stava per chiudere. Oltre a Cifarelli, che era stato uno dei protagonisti della vicenda di Radio Bari, sul finire della Seconda Guerra Mondiale, parlò, per il Pri, il candidato al Senato, per il collegio di Bitonto, Ottavio Tieri, che ricordando l’esperienza partigiana, rinnovò l’impegno contro gli odi che caratterizzavano la politica dell’epoca: «L’impegno antifascista assunto dall’Italia sotto la dittatura deve ancora oggi essere mantenuto, contro chi fa della piazza un deliberato teatro di gesta violente».
A sostegno della Dc, per l’ennesima volta, venne il presidente del Consiglio Aldo Moro, che visitò diversi paesi del barese, condannando la violenza che imperversava (l’occasione fu l’omicidio di Luigi De Rosa, un comunista 21enne assassinato a Sezze, in provincia di Latina, da militanti fascisti).
Non solo. In quell’occasione Moro attaccò anche i comunisti, rispedendo al mittente l’accusa di voler impostare la campagna elettorale in termini di rozza contrapposizione, di muro contro muro: «Si vuole che il nostro partito si lasci sacrificare senza dire una parola? In momenti come questi una forte polemica è inevitabile. È del tutto comprensibile che la Democrazia Cristiana si difenda dal durissimo attacco che tende dichiaratamente a ridurne la forza, in maniera da costringerla a quello che non vuole. È del tutto comprensibile che essa si impegni fino in fondo davanti al corpo elettorale, per riconfermare la sua capacità rappresentativa di vasti ceti popolari e la sua, mai abbandonata, posizione di alternativa al Partito Comunista. Ciò viene fatto senza inutili eccessi polemici e con argomentazioni persuasive. La gara che è stata ancora una volta ingaggiata, per definire quale è l’asse centrale, il polo di orientamento e attrazione in Italia, non mette in discussione le forze politiche minori che, in trenta anni di esperienza democratica, il nostro partito non ha mai soffocato ed anzi ha valorizzato come elemento importante dell’equilibrato assetto del paese. Basterà, a questo proposito, richiamare il constante e vivo apprezzamento per la comune opera di governo con il Partito Repubblicano, che la Democrazia Cristiana si è guardata bene dal contestare e intralciare».
Fu l’ultima visita di Aldo Moro a Bitonto. Meno di due anni dopo sarà sequestrato e assassinato dalle Brigate Rosse.
Per la Dc, oltre a Moro, intervenne anche Renato Dell’Andro, in occasione della cerimonia di inaugurazione della nuova sede del periodico mensile “Il Confronto”, il 29 maggio, in viale Giovanni XXIII, 35. Un evento che fornì anche l’occasione di parlare della funzione della stampa locale. L’onorevole Vito Lattanzio, il cavalier Domenico Frisone intervennero Mariotto, mentre Vito Tricarico, il senatore Vito Rosa l’onorevole Natale Pisicchio, Carmine Massarelli, l’avvocato Nicola Vernola, il candidato alla Camera Enrico Del Curatolo, il responsabile regionale del movimento giovanile Antonio Buttiglione parlarono a Bitonto, l’ex sindaco di Bari Nicola Damiani.
Per il Psi non potè mancare Gaetano Scamarcio, che era candidato al Senato per il collegio di Bitonto, oltre a Ettore De Marco, l’onorevole Giuseppe Di Vagno, Antonio Di Napoli, Anna Valerio, Claudio Lenoci, il senatore Rino Formica, che parlò dei problemi di lavoratori, di giovani e donne e delle difficoltà che ancora incontrava il Mezzogiorno nella crescita economica, specialmente dopo la crisi dei primi anni ’70, il segretario provinciale Domenico Carella
Per il Pci, che, insieme a Democrazia Proletaria, fu il primo a consegnare la lista per le amministrative, intervennero Giovanni Papapietro, Cesare Fredduzzi, Mario Giannini, Alessandro Fiore, Arcangelo Leone De Castris, Mauro Zaccheo, Domenico D’Onchia, mentre Silvano Miniati e Valentino Parlato furono tra i relatori di Dp.
Per il Msi, ancora una volta, a promuovere il voto fu Ernesto De Marzio. Il partito di destra dovette anche affrontare divergenze interne che portarono al ritiro dalla competizione elettorale di uno dei suoi candidati alle comunali, Michele Vittorio Di Gioia, per non precisati fatti sopravvenuti al momento dell’accettazione della candidatura.
A scrutinio eseguito, alla fine, il tanto temuto o sognato sorpasso comunista non avvenne. La Democrazia Cristiana ottenne la maggioranza dei voti. Alla Camera ottenne il 38,71 % (35,17 a Bitonto), ma, comunque, il Pci guadagnò molti consensi raggiungendo il suo massimo storico, il 34,37% (31,48). Deludente il risultato dei socialisti, che si fermarono al 9,64% (16,53). A seguire Msi-Dn con il 6,10% (8,30), Psdi con il 3,38% (2,97), Pri con il 3,09% (1,84), Dp con l’1,52 (2,49), Pli con l’1,31% (0,70), il Partito Radicale con l’1,07% (0,62).
Al Senato, invece, la Dc ottenne il 38,88% (39,96), il Pci il 33,83 (27,24), il Psi il 10,2 (13,13), il Msi-Dn il 6,63 (12,22), il Psdi il 3,10 (4,89), il Pri il 2,69, il Pli l’1,39 (questi ultimi due presentatisi insieme al Senato, nel Collegio di Bitonto, ottennero il 2,04%), i Radicali lo 0,85% (0,51%).
Al collegio di Bitonto, al Senato, fu eletto il democristiano Vito Rosa. Fu, inoltre, il socialista Gaetano Scamarcio. Alla Camera i bitontini che furono eletti Arcangelo Lobianco e Italo Giulio Caiati (Dc).
Il risultato delle elezioni, comunque, segnò, nella politica italiana, un vero e proprio punto di svolta. Il ridursi della forbice tra Dc e Pci indusse i due partiti, tramite il segretario comunista Enrico Berlinguer e il presidente del Consiglio Aldo Moro, a pensare insieme ad una strategia per affrontare la situazione politica italiana e i suoi gravi problemi. Nacque così il cosiddetto “compromesso storico”, un progetto che, se non fosse stato impedito dalle Brigate Rosse, tramite l’uccisione di Moro, avrebbe portato, per la prima volta nella storia d’Italia, i comunisti al potere insieme alla Dc.
Il deludente risultato socialista portò un’altra svolta. Il Psi, guidato dal segretario De Martino, aveva provocato la caduta del quarto governo moro, portando alle elezioni anticipate del giugno ’76. Elezioni che, come abbiamo appena visto, registrarono una dolorosa sconfitta per i socialisti, che puntavano ad una nuova alleanza con i comunisti. Fu così che, alla ricerca di una nuova strategia, per recuperare i voti persi, fu nominato un nuovo segretario alla guida del partito: Bettino Craxi. Sotto la sua guida, come vedremo, il Psi cambierà non solo identità, ma anche modalità dell’agire politico.
Nella VII legislatura, che venne fuori da quelle elezioni e che durò fino al ’79, presidente del Consiglio fu sempre Giulio Andreotti, per ben tre governi che si alternarono in tre anni molto difficili per l’Italia.
Alle amministrative fu sempre la Democrazia Cristiana a raggiungere la maggioranza di voti, con 8692 suffragi, contro i 6764 dei comunisti, i 5360 dei socialisti, i1043 dei socialdemocratici, i 937 dei repubblicani, e i 1740 dei missini. Tuttavia, a raggiungere un accordo e formare una squadra di governo furono, ancora una volta, i partiti di sinistra, che confermarono, come sindaco Domenico Larovere. Ma, a qualche mese dall’inizio del suo secondo mandato da sindaco, il 25 giugno ’77, Larovere morì. Fu sostituito da Saverio Granieri e, nel ’79, da Emanuele Masciale, sempre di area socialista, che portarono a termine il mandato, che si concluse nell’81.