Le contestazioni che, dagli anni ’60 ai ’70, animarono la vita politica italiana ed internazionale videro, come assoluti protagonisti, i giovani. Furono loro il fulcro del Sessantotto, con le loro rivendicazioni, le loro richieste, le loro lotte per il diritto allo studio e la loro voglia di sentirsi maggiormente rappresentati. Elementi che si erano fatti così tanto largo nell’arena politica italiana che, già nel ’72, fu istituito un ministero per i Problemi della Gioventù. Proprio quel ministero che, secondo Paolo Cirino Pomicino, fu creato solo perché bisognava dare un dicastero al bitontino Italo Giulio Caiati.
Di questi argomenti abbiamo già abbondantemente parlato nelle puntate precedenti di questa rubrica. Oggi, tuttavia, ci soffermiamo sulla domanda di maggior rappresentanza nella politica italiana ed internazionale, da parte dei giovani dell’epoca. Domanda che portò, a metà anni ’70, ad un’altra vittoria della sinistra italiana, dopo quella sul divorzio, al referendum del ’74. Parliamo della grande novità che si ebbe nel ’75, quando, finalmente, anche i diciottenni ebbero la possibilità di votare. Il 7 marzo 1975, infatti, la Camera dei Deputati approvò la legge che abbassava a 18 anni l’inizio, secondo la legge italiana, della maggiore età, prima considerata a partire dai 21 anni. Con la possibilità, dunque, di accedere al diritto di voto appena si diventava diciottenni, come accade oggi.
Una svolta epocale, frutto di quelle rivendicazioni giovanili che avevano caratterizzato le contestazioni degli anni precedenti e che ancora erano abili nel farsi sentire. Rivendicazioni che si erano tradotte in proposte fatte proprie dal centrosinistra (principalmente dai comunisti, ma non solo) che volevano, così, incanalare le proteste dei giovani all’interno delle istituzioni democratiche e tra le proprie fila, anche per allontanarli dai movimenti estremisti di cui l’arena politica dell’epoca era piena.
«Il voto con i nuovi elettori può e deve avvenire entro la scadenza di legge (8 giugno)» scriveva l’Unità sulla prima pagina dell’edizione dell’11 marzo ’75, invitando a rendere la nuova legge applicabile già alle elezioni che si sarebbero svolte il 15 e il 16 giugno.
Nella Democrazia Cristiana di Fanfani c’erano, però, molte perplessità sull’argomento. Perplessità che portarono anche a contrasti con il movimento giovanile del partito, sul punto di essere sciolto. Motivo principale della contrarietà era il timore che l’estensione del diritto di voto potesse favorire la sinistra, dal momento che la gran parte dei gruppi giovanili proveniva da lì (o comunque abbracciava formazioni estremiste, anche di destra). Cosa che, in effetti, tra il ’75 e il ’76, alle elezioni di quel biennio, si verificò (tanto che, nel Partito Comunista Italiano, si cominciò a sperare nel sorpasso). Ma, dopo la batosta ricevuta con il fallimento del referendum sul divorzio, la Dc non ebbe la forza di opporsi a quella che, ormai, sembrava una riforma inevitabile, appoggiata anche dalla parte più giovane, che anche a Bitonto si fece sentire organizzando, il 12 maggio ’75, un incontro sul tema “Il movimento giovanile della Dc e il voto ai diciottenni”, alla presenza di Franco Nacci, direttore sanitario e primario analista dell’Ospedale generale di Bitonto e candidato alla Provincia, e il delegato provinciale del movimento giovanile Carlo Paolini.
«Il voto ai diciottenni è indice della profonda trasformazione che sta avvenendo nel nostro Paese e trova, nella nostra storia recente, un unico precedente: l’estensione del voto alle donne, che fu deciso all’indomani della Liberazione» sostenne Nacci, rilevando, tuttavia, che «tutto rimarrebbe immutato, se il voto ai diciottenni non fosse sostanziato da una politica giovanile e da un radicale rinnovamento a livello dirigenziale, dando ai giovani la possibilità di cambiare le strutture attuali, che li vedono lontani dai posti di responsabilità. Il potere politico deve costantemente dialogare con questi giovani, nell’intento di cogliere e tentare di risolvere le giuste istanze di un mondo che non vuole altro che essere ascoltato e compreso».