Il suo ultimo pensiero, in quella circostanza, è stato per gli aspiranti giornalisti che lo stavano ascoltando lì con passione, attenzione e prendendo pure qualche appunto. “Avete l’avvenire nelle vostre mani, siete fortunati ad aver scelto questo mestiere. Parlare alla gente significa assumersi una responsabilità enorme”.
Il soggetto in questione è Sergio Zavoli, scomparso qualche giorno fa a 96 anni, e che, visto il suo lunghissimo curriculum passato tra carta stampata, radio e televisioni con programmi che hanno fatto la storia del Belpaese e del giornalismo (“La notte della Repubblica”, “Processo alla tappa”, tanto per dirne qualcuno), ha avuto il lusso di fare lezioni di giornalismo a chi, magari, quel mestiere che è sempre il più bello del mondo, lo vuole intraprendere, tra mille difficoltà, centinaia porte girevoli da aprire e tantissimi anni di precariato da dover mettere sotto le suola delle scarpe.
Ad ammirarlo, ed era l’anno 2014, i 30 studenti del master in Giornalismo di Bari, in un incontro incentrato tutto sul rapporto tra informazione politica e nuovi media. Anche quegli anni non erano semplici: l’Italia, il Mezzogiorno e il mondo intero avevano ancora le cicatrici della crisi economica del 2008, e soprattutto il giornalismo, quello con la G maiuscola, delle grandi inchieste, delle scarpe belle consumate, della qualità sopra ogni cosa, era una merce sempre più rara, sopraffatto dalla rete, dal web, dai nuovi media, da Internet, dalla ricerca spasmodica della immediatezza della notizia.
Oggi, e sono passati sei anni, non si sono fatti grandi passi in avanti, ed ecco perché le sue parole riecheggiano, soprattutto adesso che ci ha lasciati. Alla crisi economica si è affiancata quella sanitaria e sociale, è quanto mai impellente un nuovo modo di fare politica, sviluppo e investimenti, e il giornalismo è sempre più in affanno, tra vertenze di testate secolari (leggasi “Gazzetta del Mezzogiorno”) e collaboratori pagati qualche euro ad articolo. Se è fortunato.
Zavoli, però, in un cielo che sembrava essere tutto nero, vedeva segnali positivi perché percepiva che la gente aveva ancora tanta voglia di conoscere le cose. E, ne siamo sicuri, avrebbe parole di conforto anche per questo periodo in cui davvero tutti dobbiamo rimboccarci le maniche, senza lasciare le incombenze al prossimo.
Se non altro perché, come diceva lui stesso, “oggi abbiamo bisogno di capire perché stiamo vivendo un tempo che, per molti versi, non ci piace”