Il 1982, nella memoria italica, non è un anno qualunque. E, per carità, non può esserlo. È l’anno dei Mondiali trionfanti in Spagna. Di Paolo Rossi. Della partita a scopone nell’aereo che riporta in patria gli azzurri con il presidente della Repubblica, Sandro Pertini.
Ma, purtroppo, è molto di più. I trionfi calcistici non possono mettere in secondo piano che a Palermo si stava vivendo una stagione caldissima, perché conta un numero impressionante di morti ammazzati, e pure di cadaveri eccellenti.
Al vertice della cupola erano arrivati Salvatore Riina e i corleonesi che, dopo essersi fatti largo ammazzando boss come Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo a colpi di kalashnikov, stavano completando la mattanza facendo sterminare le loro famiglie, quella di Tommaso Buscetta che però era in Brasile, e far fuori tutti i loro avversari.
In cui rientravano, ovviamente, anche i rappresentanti delle istituzioni. Nel capoluogo siciliano, il 30 aprile, alla lunga lista si aggiunge Pio La Torre, segretario regionale del Partito comunista, e la sua scorta Rosario Di Salvo.
Ma proprio quell’estate la mattanza dei corleonesi era ferocissima, senza controllo e inarrestabile. I morti si contavano ogni giorno, e le stragi quasi quotidiane.
La più cruenta, per le modalità con le quali viene effettuata, è quella del 16 giugno. È comunemente conosciuta come “la strage della circonvallazione”, e lascia sull’asfalto cinque cadaveri. Uno è di un boss, Alfio Ferlito, catanese. Tre sono carabinieri: Salvatore Raiti, Silvano Franzolin e Luigi Di Barca. L’ultimo era Giuseppe Di Lavore, l’autista dell’auto su cui viaggiavano i carabinieri e lo stesso boss.
Spieghiamo, allora. Una delle più importanti figure della mafia catanese, Alfio Ferlito, doveva essere trasferito da Enna al carcere di Trapani. Quel giorno con lui c’erano tre carabinieri della scorta, più l’autista, non consapevoli della sorte cui sfortunatamente sarebbe toccata loro. Proprio sulla circonvallazione di Palermo, in via della Regione siciliana, sono presi in pieno da centinaia di colpi di Kalashnikov, che ovviamente non lascia loro scampo.
Un’uccisione violenta, sanguinosa, che ha coinvolto persone innocenti che stavano facendo solo il proprio lavoro. E, soprattutto, cattiva, e irriverente nei confronti della società civile, di cui Cosa Nostra si faceva beffe senza problemi. L’intento dell’attentato, avvenuto per mano dei Corleonesi e alleati del boss catanese Benedetto Santapaola, era eliminare il suo avversario, da molti anni in rivalità per il predominio criminale sul territorio etneo.
E sodalizio, quello Riina-Santapaola, che si ripeterà neanche tre mesi dopo, per ammazzare il prefetto del capoluogo siciliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, sua moglie e la scorta. Il 3 settembre 1982. I cadaveri eccellenti…
A vent’anni dall’accaduto del 16 giugno, e grazie alla dichiarazione di alcuni collaboratori di giustizia, abbiamo saputo i volti e i nomi degli attentatori: Francesco Paolo Anzelmo, Calogero Ganci, Salvatore Cuccuzza, tutti e tre poi pentiti, e i boss Antonino Madonia, Antonino Lucchese e Giuseppe Greco “Scarpuzzedda”.
Ma c’è qualcosa di più amaro: “Quella strage – si legge nelle carte processuali – voleva dimostrare la forza di Cosa Nostra che poteva agire impunemente, godendo di appoggi e di preziose informazioni provenienti da talpe annidate in ogni posto, senza alcun timore di coinvolgere nella tracotante azione stragista, anche le forze dell’ordine”.
Ecco. Stiamo ancora attendendo nomi e cognomi delle talpe.