Come abbiamo già anticipato nelle precedenti puntate di questa rubrica, nel ’74 gli italiani furono chiamati ad esprimersi, direttamente, su un tema che divideva profondamente l’opinione pubblica: il divorzio. E non solo in quegli anni.
Una consultazione che vide la partecipazione di oltre 33 milioni di aventi diritto, su un totale di 37 milioni, e la vittoria del “no” (mantenimento della legge sul divorzio). La Puglia, insieme ad altre regioni meridionali, al Veneto e al Trentino Alto Adige, votò per l’abrogazione. Risultato, questo, a cui non fece eccezione Bitonto.
Ma andiamo con ordine.
Già nel XIX secolo, nel 1878 e nel 1880, il deputato socialista pugliese Salvatore Morelli presentò, entrambe le volte senza successo, una proposta per introdurre il diritto al divorzio. Altri tentativi vani furono fatti negli anni successivi. Nel 1901, furono ancora i socialisti, tramite Alberto Borciani e Agostino Berenini, a firmare una proposta di legge per introdurre, nell’ordinamento italiano, la possibilità di interrompere il rapporto coniugale. Seguita, l’anno dopo, da un disegno di legge che sanciva il diritto solamente in casi di sevizie, adulterio, condanne gravi. Ancora una volta, il tentativo fu vano.
«Il divorzio è legge dello Stato in Francia e nel Belgio, Paesi cattolicissimi: or come va che la Chiesa in questi Paesi ha acconsentito al divorzio e vorrebbe negarlo in Italia?» scriveva, nel 1902 un’altra esponente del socialismo italiano e dirigente sindacale, Argentina Altobelli.
La Grande Guerra prima, il fascismo dopo, interruppero il dibattito, che riprese nel ’54 quando, il socialista Sansone presentò un disegno di legge che prevedeva il cosiddetto “piccolo divorzio”, solo in alcuni casi. Una proposta che non giunse a discussione né in quell’occasione, né quando fu riproposta nel ’58.
Ma, nel frattempo, l’Italia stava cambiando. La società diveniva sempre più secolarizzata e le donne si facevano sentire sempre più, come abbiamo avuto già modo di vedere. Dando vita ad una nuova esplosione del femminismo che iniziò a battersi per il tema della libertà sessuale e dei diritti civili della donna. Per avere un’idea, di come la società dell’epoca stesse cambiando, è utile guardare “Comizi d’amore”, film inchiesta di Pier Paolo Pasolini, realizzato nel ‘65, in cui l’intellettuale italiano viaggiò attraverso la penisola per chiedere a gente di diversa estrazione sociale di sesso, matrimonio, divorzio, prostituzione e tanti altri temi che, per l’epoca, erano oggetto di tabù per larghi strati dell’opinione pubblica. Un documentario che testimonia come l’Italia dell’epoca fosse spaccata tra chi era più vicino alla posizione conservatrice della Chiesa cattolica e chi, invece, era favorevole alle battaglie per i diritti civili che, in quegli anni, entrarono nella scena politica italiana.
Proprio in quell’anno, il ’65, infatti, Loris Fortuna, ancora una volta un socialista ripresentò una proposta per introdurre il divorzio. Questa volta, a dare manforte al fronte divorzista, formato anche dal fronte femminista, dalla Lega per l’Istituzione del Divorzio, dai comunisti (tuttavia più incerti e meno omogenei sul tema, rispetto ai socialisti), furono anche il Partito Radicale, che in quegli anni viveva una stagione di forte attivismo, e i liberali. Un fronte che riuscì, nel ’70, a far approvare la proposta di legge che Fortuna aveva firmato insieme al liberale Antonio Baslini.
Ma, proprio nel ’70, come abbiamo già detto, con 25 anni di ritardo, fu approvata la legge 352 che attuava l’istituto del referendum come previsto dalla Costituzione. Proprio i cattolici, che nei decenni precedenti avevano ostacolato l’attuazione dello strumento di democrazia diretta, ne approfittarono per tentare di abrogare quella legge. Al fronte antidivorzista, rappresentato dal “Comitato nazionale per il referendum sul divorzio”, si unirono Azione Cattolica, Cei, gran parte della Dc, Movimento Sociale Italiano e monarchici. Ma anche tra i cattolici, il consenso verso l’istituto del divorzio era forte. Soprattutto tra le correnti del dissenso, come abbiamo avuto modo di vedere parlando del Sessantotto cattolico.
Il dibattito, in vista dell’appuntamento referendario del 12 e del 13 maggio, fu intenso, in tutta Italia e, ovviamente, anche a Bitonto.
Il 30 marzo, a Mariotto, nel salone parrocchiale, fu organizzato, da parte del Csep (Centro Sociale di Educazione Permanente) un dibattito su divorzio e diritto di famiglia, con la presenza del giudice Giuseppe Noviello e di Giuseppe Caldarola. Sullo stesso tema, il 20 aprile, a cura del Centro Studi sull’Emancipazione della Donna nel Mezzogiorno, si tenne, nella Sala degli Specchi, un altro dibattito.
A sostenere apertamente il “sì” il sottosegretario Lattanzio, il 19 aprile, intervenne nella sede cittadina della Dc per spiegare il perché abrogare il diritto al divorzio. Ragioni che, per l’oratore, riguardavano, principalmente gli eventuali danni nella crescita dei figli: «I danni del divorzio non riguardano e non sono limitati solo ai divorzisti, ma si estendono a tutta la società. Le esperienze delle altre nazioni sono chiaramente negative e spaventose, anche se è difficile tornare indietro».
Il 5 maggio, invece, fu l’onorevole Renato Dell’Andro ad intervenire contro il divorzio, in una manifestazione organizzata dal Comitato Cittadino di Azione Cattolica. A seguire, il senatore Mauro Pennacchio, il segretario regionale della Dc Nicola Rotolo e il senatore Vito Rosa: «Dietro la scelta della Dc non c’è alcuna intolleranza, così come vuol far credere il Pci. C’è, invece, una scelta chiara in favore di una famiglia stabile, fondata sull’amore, che sia centro educativo ed autoeducativo, aperta nella responsabilità alle altre comunità intermedie ed alla società. Contro questo modello, il divorzio fornisce l’immagine di una famiglia chiusa nell’egoismo dei coniugi, diseducativa e socialmente negativa».
Per il Msi, a favore del “sì”, parlò, a Mariotto, il ragionier Pietro Gagliardi.
Per il fronte divorzista, il 27 aprile 1974 la Lid proiettò in piazza Margherita (oggi Moro), il film “Diario per un no”, inchiesta cinematografica appositamente realizzata in occasione del referendum. Sempre nel mese di aprile, i giovani del Pci organizzarono una serie di manifestazioni sul tema della condizione femminile in Italia, con una mostra, film e dibattiti. Nel mese di maggio, invece, per il Partito Comunista Italiano, intervennero gli onorevoli Mario Assennato e Enrico Piccone.
Per il Partito Socialista, il 1° maggio, vennero il senatore Rino Formica e l’onorevole Beniamino Finocchiaro, oltre al consigliere regionale Gaetano Scamarcio, che denunciò gli antidivorzisti di voler attaccare il principio della laicità dello stato, privando quest’ultimo della facoltà di disciplinare l’istituto del divorzio: «Non si può spaventare l’elettorato agitando lo spauracchio che, se dovessero prevalere i “no”, andremmo incontro ad una società permissiva, nella quale sinanco i matrimoni tra omosessuali sarebbero consentiti. Quella del 12 maggio è una battaglia che va oltre lo stesso risultato del referendum. Su vuole operare una inversione a destra dell’asse politico del Paese, portando a galla i fascisti e tutte quelle forze reazionarie che vogliono far segnare il passo alle rivendicazioni sociali e all’intero movimento operaio. Dobbiamo impedire la sterzata a destra e ciò lo si può fare solo votando “no”».
Come sappiamo, in Italia vinse il “no”, permettendo alla legge Fortuna Baslini di rimanere in vigore. Il 59.26% degli italiani si mostrò favorevole a mantenere in vigore la legge. Una vittoria che, dall’altro lato, segnò una sonora sconfitta per la Democrazia Cristiana di Fanfani, che aveva promosso il referendum con forza. Ma la Puglia si mostrò in gran parte antidivorzista, con il 52,6% di preferenze per il “sì”. Idem per la Provincia di Bari (51.4% per il “sì”) e per Bitonto, dove il 54.82% dell’elettorato fu antidivorzista e solo il 45.18% votò a favore del divorzio.