«A Bitonto noi ci contrapponevamo sia alla Dc di Saracino, che vedevamo come il partito dell’establishment, sia a Liaci, che all’epoca dirigeva il Pci».
Ricordò così il professor Sabino Lafasciano la sua esperienza nel Partito Comunista d’Italia Marxista Leninista, formazione di estrema sinistra nata nel ’66: «In quegli anni anche a Bari iniziarono a formarsi miriadi di gruppi di estrema sinistra, come il nostro. Cercavamo una forza rivoluzionaria autentica, anche se alle elezioni votavamo Pci».
Un passaggio, già riportato in questa rubrica in occasione dell’appuntamento sulle contestazioni del ’68, emblematico di un clima di protesta che non salvò neanche il Partito Comunista, che pure era spesso molto vicino ai manifestanti. Furono tanti i partiti di estrema sinistra che sorsero nel panorama politico italiano. Partiti che si ponevano a sinistra del Partito Comunista Italiano e che andarono a formare il variegato mondo dell‘estrema sinistra in Italia.
Un mondo che era sempre esistito, già a partire dagli anni ’20 in correnti che si ispiravano alle idee di Trotski e che contestavano l’Unione Sovietica. Ma il clima di contestazione degli anni ’60 e ’70 offrì l’occasione, a questo sottobosco di piccoli partiti e movimenti, di diffondersi e farsi largo, specialmente tra i giovani e tra le nuove forme di partecipazione politica che nascono nell’Italia post-Sessantotto.
Un mondo spesso chiamato con le espressioni “sinistra radicale”, “sinistra rivoluzionaria” o, ancora “sinistra extraparlamentare”, dato che si trattava di forze politiche che non raggiungevano mai un consenso tanto ampio da poter raggiungere le due aule del Parlamento. Non solo. Tra i tanti partiti che sorsero in quegli anni, in molti addirittura rifiutavano la democrazia parlamentare e le sue istituzioni, ritenendole strumenti inadeguati per soddisfare le istanze della società o, peggio, creazioni della borghesia per togliere alle masse ogni rilevanza nella politica. Una galassia di forze politiche che accusavano i principali partiti di sinistra (Pci, Psi e Psdi) di aver abbandonato la lotta per i lavoratori.
Prima grande occasione di contestazione verso la sinistra parlamentare fu il conflitto Cina-Urss degli anni ‘60, una crisi tra i due massimi rappresentanti del mondo comunista, che, anche senza degenerare in guerra, vide forti momenti di tensione e divise i comunisti di tutto il mondo, portando alla nascita di tanti gruppi comunisti alternativi. Si divisero anche i comunisti italiani, tra cui furono numerosi quelli che simpatizzarono per la Cina di Mao Zedong e le accuse di revisionismo e di allontanamento dall’autentica dottrina comunista, mosse all’Unione Sovietica e i partiti comunisti ad essa legati. Fu in quell’occasione che, in Italia, nell’ottobre del ’66, nacque a Livorno il già citato Partito Comunista d’Italia (marxista-leninista). Una dicitura emblematica delle critiche mosse al Pci, perché riprendeva la denominazione del partito nato nel ’21 proprio a Livorno, appunto “Partito Comunista d’Italia”, e aggiungeva gli aggettivi “marxista” e “leninista”, per denunciare la deriva revisionista che, a loro dire, aveva preso il Pci.
Le critiche al Partito Comunista Italiano arrivarono anche dalle numerose riviste politico-culturali comuniste che sorsero già a partire dai primi anni ’60.
Nel ’65, inoltre, nacque Lotta Comunista, l’unico movimento, tra quelli nati in quegli anni, che esiste ancora oggi, come ben sanno coloro che frequentano l’Università di Bari, che hanno ancora oggi modo di incontrare suoi simpatizzanti ed esponenti intenti a distribuire l’omonimo organo di stampa del movimento. Un’attività legata all’anima del movimento, che non aderì mai alla successiva lotta armata che, poi, prese corpo nelle varie organizzazioni terroristiche che insanguineranno l’Italia. Secondo Lotta Continua, infatti, la rivoluzione non è possibile senza una crisi del capitalismo. Per fare in modo che ciò avvenga è necessario radicarsi nelle fabbriche, nei quartieri, nelle università. Obiettivo che fa di stampa e attività editoriale, la principale attività del gruppo.
Nel ’68, nacque un altro movimento che si rifaceva al maoismo, il Partito Comunista (marxista-leninista) Italiano, che, nel ’72, provò anche a competere nelle elezioni politiche, raggiungendo un contesto per nulla rilevante e, dunque, avviandosi, di lì a breve, verso lo scioglimento. 61 furono i voti a Bitonto per la Camera (lo 0,28%), mentre, a livello nazionale, lo 0,26% (86038 voti) impedì di ottenere seggi.
Irrilevante fu anche il risultato di un’altra lista comunista che, quell’anno, si presentò alle politiche, il Manifesto, lista che faceva capo proprio all’omonimo giornale e che, per quell’occasione, si costituì come gruppo politico per la Camera, invitando a votare Pci al Senato. 0,67% e 224.313 voti in Italia e, a Bitonto, lo 0,18% e 40 voti.
Sempre nel ’68, nacque Avanguardia Operaia, mentre, dalla redazione della rivista “La Classe”, nacque, l’anno successivo, Potere Operaio, dal cui scioglimento nacque Autonomia Operaia, movimento ancora più estremista che non nascondeva simpatie per i nascenti gruppi armati del terrorismo brigatista.
Nel ’74, dalla fusione di Nuovo Psiup e Alternativa Socialista, nacque il Partito di Unità Proletaria per il Comunismo, che nel ’76 si presentò alle elezioni politiche nella lista “Democrazia Proletaria”, che in quell’anno si costituì come partito politico.
Quelle elezioni registrarono un fallimento, favorendo un tramonto dell’epoca della sinistra extraparlamentare. Tramonto favorito anche dalla politica dell’unità nazionale promossa dal Pci, verso i governi democristiani, e dalla politica dei sacrifici avviata dalla Cgil, il cui segretario Luciano Lama, in una celebre intervista del ’78, su Repubblica, invitando i lavoratori a “stringere la cinghia” disse: «Se vogliamo esser coerenti con l’obiettivo di far diminuire la disoccupazione, è chiaro che il miglioramento delle condizioni degli operai occupati deve passare in seconda linea».
Democrazia Proletaria, a Bitonto, raggiunse 636 voti, il 2,49%, mentre a livello nazionale 557025 voti, appena l’1,52%, riuscendo, tuttavia, a portare alla Camera 6 deputati. Zero, invece, i senatori eletti. Segno del sostegno prettamente giovanile, che, ovviamente, al Senato è meno rilevante.
Abbiamo elencato, tuttavia, solamente alcune delle svariate formazioni politiche, in quanto sarebbe impossibile elencarle tutte senza perdersi in quell’universo sconfinato.
Molti militanti di quelle formazioni rientrarono nelle fila del Pci. Ma, sempre all’estrema sinistra, mentre molti movimenti si avviavano verso la dissoluzione, rimanevano ancora attive quelle formazioni che, rinnegando le istituzioni democratiche, si diedero alla lotta armata. Formazioni che, come abbiamo già detto, ebbero anche dei sostenitori tra i tanti gruppi di sinistra che sorsero negli anni ’70.
«La cosa positiva dei movimenti extraparlamentari pugliesi è che nessuno è, poi, passato al terrorismo» è il ricordo del professor Lafasciano.
Approfondiremo l’argomento del terrorismo rosso più avanti.