Dal ’66 al ’71, a Palazzo Gentile, la situazione amministrativa non è stata certamente delle più calme. Come già dicemmo in occasione delle elezioni comunali del 1966, è stata una legislatura complicata, che ha visto susseguirsi ben quattro sindaci in cinque anni. Nominato per la seconda volta, Domenico Saracino annuncia le sue dimissioni, per motivi personali, pochi mesi dopo. Gli succede Francesco Elia, che dopo un anno, a causa delle discordie tra Democrazia Cristiana e centrosinistra, annuncia le dimissioni, lasciando lo scranno a Pasquale Marrone, che, per gli stessi motivi, si dimette l’anno successivo. A terminare il mandato, dunque, è Francesco Gesualdo, che conclude, per Bitonto, il decennio a guida democristiana.
Il 13 e il 14 giugno 1971, quindi, i bitontini tornano a votare, per rinnovare la massima assise cittadina, in un periodo in cui la città sta cambiando e chiede interventi che adeguino l’assetto urbanistico ai tempi che avanzano. La Gazzetta del Mezzogiorno, ad esempio, si chiede se sia la volta buona che inizino i lavori per un sovrappasso in corrispondenza del passaggio a livello sulla strada per Santo Spirito, necessario con la continua crescita del numero dei veicoli in circolazione.
La campagna elettorale, dunque, entra nel vivo nel mese di aprile, già nei primi giorni, quando il giorno 8, è ospite a Bitonto l’onorevole democristiano Antonio Laforgia, presidente nazionale dell’Associazione Cristiana Artigiani Italiani, per riaffermare l’esigenza urgente di un rilancio della politica degli investimenti produttivi e, in particolare, delle piccole e medie imprese artigiane, attraverso finanziamenti, promozione dell’accesso a crediti a medio termine e incentivi finanziari per il Mezzogiorno. Lo stesso Laforgia è di nuovo ospite, a maggio, per parlare della riforma tributaria, che, per l’onorevole è una delle grandi scelte che l’Italia sta vivendo per dare risposte definitive a bisogni antichi della popolazione del Mezzogiorno.
I comunisti già ad aprile iniziano un tour attraverso tutti i comuni in cui si vota, tra cui, appunto Bitonto. Sono loro i primi a presentare la lista dei suoi 40 candidati al consiglio comunale. A rappresentarli, nei loro comizi in piazza, il capogruppo alla Regione Giovanni Papapietro, Alfredo Reichlin, Valerio Veltroni, l’onorevole Antonio Romeo, il sindacalista Mauro Zaccheo.
Segue, nella presentazione delle liste, il Psi che ospita Nino D’Alena, responsabile della Federazione di Bari, che dai palchi socialisti parla della situazione nazionale e delle tensioni sociali in atto nel paese, vedendole come una richiesta di partecipazione delle masse popolari, a cui i partiti devono dare una risposta adeguata: «È evidente come questo impegno si ponga in maniera ormai ultimativa per le forze di governo, cui spetta in concreto, decidere dell’avvenire del nostro paese. Ma è altrettanto evidente come il discorso coinvolga tutto lo schieramento operaio, il quale è globalmente interessato ad una soluzione avanzata dei problemi della nazione, che non sia più settoriale, ma investa le ragioni del malessere sociale alla radice e completi l’opera di trasformazione delle strutture della nostra società, già avviata con i governi a partecipazione socialista. L’Italia ha lo strano privilegio di essere contemporaneamente paese industrialmente avanzato e socialmente sottosviluppato. Occorre cogliere il senso di questa contraddizione, valutarne la portata ed operare decisamente in senso riformatore. Il convergere di tutti i partiti popolari sulla politica delle riforme, se è motivo di orgoglio per i socialisti, che per primi ne hanno individuato la strategia, quando parlare di riforme pareva un sacrilegio, segna, nel contempo, un momento di riflessione di tutte le forze operaie, che hanno individuato il fatto qualificante che unisce senza confondere e che conferisce al sindacato dignità di interlocutore, in una visione fortemente dialettica della nostra vita politica. La risposta a questa visione evolutiva della politica socialista, da parte del padronato e dei ceti reazionari, è venuta precisa e puntuale. Rigurgito fascista, tentativi di colpi di stato, aggressioni teppistiche sono gli strumenti che la destra, minacciata nel privilegio, usa a propria difesa. Il voto del 13 giugno è, sotto tale aspetto, un voto politico e, come tale, i socialisti lo richiedono all’elettorato».
Sempre tra i socialisti, intervengono gli onorevoli Beniamino Finocchiaro, Michele Pellicani, il senatore Rino Formica. Quest’ultimo ribadisce la necessità di una politica di riforme per risolvere «i problemi che angustiano la nostra società. […] Problemi di armonizzazione economica, di pieno impiego, di piena utilizzazione dell’apparato produttivo, di ordine pubblico». Una politica che, per il socialista, è stata già attuata dal Psi attraverso l’impegno nell’approvazione del nuovo ordinamento penitenziario, della legge sul divorzio, dei progetti di riforma dei codici, dei disegni legislativi sul diritto di famiglia: «Punti salienti di un indirizzo che si basa sulla coerente applicazione dei principi costituzionali e sulla difesa rigorosa della personalità umana in uno stato di diritto».
Concetti ribaditi anche dall’onorevole Vito Vittorio Lenoci, secondo cui, il fine che si propongono i socialisti è di raggiungere nuove conquiste sociali, che rendano «più concreto il sistema di libertà e lo consolidino in modo definitivo», nuove riforme che modifichino il modello di sviluppo e i rapporti di potere della gestione stessa, che «sono il mezzo per dare risposte giuste alla domanda di progresso civile e sociale che viene dal paese […] migliorando la condizione del lavoratore nella società ed operando in senso distensivo negli scontri sociali in atto. […] Occorre un’autentica svolta nello sviluppo economico del paese e questa si realizza accrescendo i poteri pubblici di direzione e controllo dell’economia, senza minimamente porre in discussione l’iniziativa privata produttiva ed anzi sostenendola, specie nel campo della piccola e media impresa».
Dopo il Psi a presentare le proprie liste sono il Psdi, il Psiup e, tra gli ultimi, come spesso accade, la Dc, più divisa tra le varie correnti interne.
Per il Psdi, che, in campagna elettorale, inaugura a Mariotto la sua sede, tra i relatori a supporto dei socialdemocratici vi è Michele Di Giesi: «Oggi tutti riconoscono le difficoltà di una situazione economica ogni giorno sempre più pesante. I socialdemocratici avevano individuato gli elementi che avrebbero gravemente turbato l’equilibrio economico del Paese e, invano, avevano cercato di indurre alcune forze politiche e le dirigenze sindacali a comportamenti razionali e a decisioni che tenessero conto delle possibilità reali e delle capacità di sviluppo del sistema».
Oltre a Di Giesi, l’onorevole Pierluigi Romita, sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione, che rigetta l’idea secondo cui debba esserci un governo monocolore della Dc e non di centrosinistra e rivendica l’impegno socialdemocratico per una riforma tributaria, una riforma universitaria e per la legge sulla casa.
Per la Dc, ancora una volta, Aldo Moro visita, in più occasioni, Bitonto, rivendicando i successi e i meriti della Democrazia Cristiana e ribadendo l’impossibilità di dialogare con i comunisti, a causa delle forti diversità e della necessità di difendere la libertà. Concetto sostenuto anche dall’onorevole Renato Dell’Andro, secondo cui «quello del comunismo rimane il problema chiave della società italiana, quello intorno al quale tutto può essere perduto, di quanto è antico patrimonio della coscienza italiana e di quanto è di recente conquista: i valori personali di libertà, di verità, di sicurezza e di convivenza civile. […] Queste elezioni hanno un significato politico, se per politica si intende trovare una sintesi tra le varie parti ideologiche per raggiungere il benessere sociale. Non esiste alcun dissidio tra stato e regioni, che realizzano la più ampia democrazia».
Tra gli altri ospiti a sostegno dello scudo crociato, Enzo Sorice, il senatore Vito Rosa, Pietro Mezzapesa, segretario provinciale. Quest’ultimo, dopo aver passato in rassegna i meriti della Dc, dal dopoguerra, e le riforme messe in atto dal suo partito, tra cui, a suo dire, il rilancio della politica per il Mezzogiorno e il problema della casa, mette in guardia l’elettorato da un pericolo secondo lui più insidioso per le istituzioni democratiche, costituito da un sempre crescente senso di sfiducia e di stanchezza dei cittadini. Un elemento che il democristiano attribuisce agli avversari, colpevoli di nascondere i meriti della Dc e di evidenziare in modo spropositato, inevitabili carenze in questo o in quel settore, facendo leva sui motivi di scontento di questa o quella categoria. Mezzapesa individua, come strade da seguire, una maggiore coesione tra le forze di centrosinistra al governo, invitandole a litigare di meno tra loro, il potenziamento dell’autonomia degli enti locali, «sconfiggendo quelle forze che sono, per origine, autoritarie ed accentratrici».
Per il Msi, intervengono gli onorevoli onorevole Stefano Menicacci, Ernesto De Marzio, l’avvocato Giuseppe Cianciola e Giuseppe Tatarella, che respingendo le accuse al Msi di battersi per restaurare «dittature irripetibili e antistoriche», sottolineala volontà missina di «spostare l’area politica italiana su posizioni di centrodestra, nell’ordine e nella libertà. Ordine e legge sono l’obiettivo del Msi, non la dittatura o la violenza».
A raggiungere più voti, a Bitonto, è il Partito Comunista Italiano (6290 suffragi e il 30,2% dei votanti) che si aggiudica 13 seggi. Segue la Democrazia Cristiana con 5722 voti (27,4%) che ottiene 11 seggi. A ruota, il Partito Socialista Italiano (4072 voti e percentuale del 19,5%, con 8 seggi), il Movimento Sociale Italiano (2555 voti e 12,3% con 5 seggi), il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (1289 voti, 6,2% e 2 seggi) e, infine, il Partito Socialista Democratico Italiano (928 voti, 4,4%, 1 seggio).
Un risultato che pone fine al decennio di governo democristiano, in città, facendo tornare al vertice di Palazzo Gentile una maggioranza formata da Pci, Psi e Psiup. La carica di sindaco va ai socialisti del Psi, che nel luglio successivo, nominano Domenico Larovere. La Dc torna all’opposizione, insieme a Psdi e Msi, ponendo fine alla parentesi che, con la caduta dell’amministrazione De Santis del ’61 e con la nomina, nel ’62, di Domenico Saracino, l’aveva portata ai vertici di Palazzo Gentile.