L’incontro dei delegati delle chiese cattoliche del Mediterraneo, che ha avuto il suo culmine ieri con l’arrivo di Papa Francesco a Bari, ha fatto tappa anche a Bitonto.
Venerdì scorso, infatti, tre rappresentanti sono stati ospiti della nostra città.
In Cattedrale, le comunità parrocchiali di Concattedrale-S.Giovanni, Cristo Re, Sant’Andrea, Sant’Egidio, Santa Caterina, Addolorata (Mariotto) e Immacolata (Palombaio), hanno incontrato Sua Beatitudine Ibrahim Isaac Sedrak.
“È la prima volta che i Vescovi del Mediterraneo si incontrano. È un’esperienza bella, che non ha come obiettivo quello di risolvere un problema. Non è questo il momento. Ma è un’occasione per conoscersi e parlare della speranza, dell’amore, della gioia e per tornare con la gioia nelle nostre comunità” ha spiegato il Patriarca copto cattolico di Alessandria d’Egitto durante l’omelia.
Al termine della celebrazione, Sua Beatitudine è rimasto con i fedeli per conoscere dalla viva voce del prof. Nicola Pice e di don Gianni Giusto la storia e la vita sociale ed ecclesiale bitontina, e raccontare poi la realtà della sua terra. Una realtà prevalentemente musulmana. Solo il 12% della popolazione, infatti, ha fede cristiana, soprattutto ortodossa.
La chiesa cattolica, però, riesce ad avere una presenza sentita ed efficace, grazie alla pastorale tra i giovani e il lavoro nella carità, nelle scuole. Le scuole, in particolare, sono dirette da suore e laici cattolici e musulmani insieme, così come le piccole cliniche. “Condividiamo sfide e speranze”, ha spiegato il patriarca.
“Nelle parrocchie, facciamo dialogo di vita. Il dialogo non è solo nelle camere chiuse. Quello vero è della vita, è vivere insieme le difficoltà”.
Interrogato sul fenomeno della migrazione, sua Beatitudine, poi, ha detto la sua, invitando a “non guardare le conseguenze, ma a ricercare le cause. Risolviamo le cose primarie, la fame nei Paesi sottosviluppati che spinge i più poveri a ricercare la fortuna altrove, anche a costo della vita”.
Della realtà egiziana, ha parlato anche Sua Eccellenza Fahim Awad Hanna, Eparca copto cattolico di Minya, accolto nel Santuario dei Santi Medici dalle comunità parrocchiali di San Leone magno, San Leucio, San Silvestro, Santi Medici Cosma e Damiano e Santissimo Sacramento.
La comunità cristiana del suo territorio, che conta 250 mila fedeli ed è divisa in 7 diocesi, “è stata sempre segnata dalla sofferenza”.
“Tutti abbiamo paura della sofferenza, del male, ma Cristo ci ha aperto un nuovo orizzonte. La sofferenza da soli fa male, insieme diventa generatrice. Non ci si abitua mai alla sofferenza e alla difficoltà – ha dichiarato l’eparca -. C’erano 21 martiri uccisi in Libia della chiesa ortodossa, malgrado ciò la gente ci va sempre più numerosa. Tutte queste sofferenze non fanno paura, perché pensano a Cristo che è resuscitato per noi e per la nostra salvezza. Il vangelo, la buona notizia è che la morte è già morta. Viviamo nella speranza della resurrezione”.
Insieme a Sua EccellenzaHanna, la Basilica ha ospitato anche Sua Eminenza Card. Juan José Omella, Arcivescovo di Barcellona.
Anche lui non ha rinunciato a lanciare messaggi d’amore, partendo dalla sua esperienza.
“Si ama tanto solo ciò che si conosce davvero. In questi giorni in cui ci siamo riuniti ci siamo resi conto di quanto siano condivisibili le gioie comuni – ha rivelato -. Coloro che hanno la pelle un po’ più scura rispetto a noi, sono nostri fratelli. Conoscendoci, trattandoci, impariamo ad amarci. E Gesù ci dice ciò che facciamo ai fratelli più piccoli, più poveri, lo facciamo a lui. Questo è lo stesso insegnamento dei nostri Santi Medici, che non hanno mai chiesto a nessuno da dove provenissero e aiutavano tutti. Come dice San Paolo, la fede senza le opere non ha importanza”
“Vi racconto una storia accaduta a Barcellona tanti anni fa – ha continuato –. Due ragazzi musulmani di 12 e 14 anni avevano attraversato il deserto e molte difficoltà: la loro madre li aveva abbandonati, il loro padre era morto, erano molto poveri. Sono arrivati a Barcellona. Non conoscevano la lingua e non conoscevano nessuno e due medici li hanno aiutati. Grazie all’aiuto e all’accoglienza hanno frequentato l’università e hanno continuato a svolgere lavori socialmente utili, nonostante avessero già una professione. Il sogno di questi ragazzi era di rincontrare la loro madre biologica e i genitori adottivi hanno pagato il viaggio alla madre per vedere cosa fossero diventati i figli. Nonostante i rapporti positivi, lei ha deciso di ritornare in Kenya e loro sono rimasti in Spagna. Uno dei due, durante i lavori socialmente utili, distribuendo l’amore, si è reso conto che Dio aveva per lui altri progetti. Ha deciso di convertirsi al cattolicesimo, di entrare in seminario e di diventare parroco. Un giorno magari sarà qui a servire la vostra comunità”.