Capitale italiana della cultura, quest’anno, è Parma, la città che si aggiudicò il titolo a cui anche Bitonto ambiva e per cui arrivò tra le dieci finaliste. Iniziata l’esperienza per la città emiliana, si pensa ora a chi dovrà rappresentare la cultura italiana nel 2021. Ed è una battaglia in cui a scontrarsi sono tutti contro tutti.
In tanti, infatti, sono i paesi che, in Puglia vorrebbero ricoprire l’ambito ruolo per un anno intero: Molfetta, Bari, Trani, Bisceglie, Taranto, la Grecìa salentina.
Una battaglia che, probabilmente, per tutti gli interessati, è difficile vincere da soli, contro città ben più grandi e famose. Ecco perché, tra le sue pagine, la Gazzetta del Mezzogiorno, ieri, si è posta la domanda: «Ma non è possibile raccordarsi e formulare una candidatura unica? Magari c’è anche qualche chance in più di farcela rispetto a Genova o Ferrara o Livorno o Pisa o Verona».
Nell’articolo scritto a più mani, il quotidiano si interroga quale spessore culturale abbia «chi invece di dialogare preferisce arrampicarsi sui campanili».
Un interrogativo legittimo, condivisibile, che ha portato la redazione della Gazzetta ad ospitare i sindaci dei paesi coinvolti nella disputa, per provare, così, ad arrivare ad una sintesi tra le varie posizioni. Tra loro non poteva mancare Antonio Decaro, sindaco di Bari e della Città Metropolitana. È stato presente, inoltre il nostro Michele Abbaticchio. Non c’è stato Tommaso Minervini, primo cittadino di Molfetta, per impegni, come scrive il quotidiano, che, tuttavia, non nasconde l’impressione che la volontà di Molfetta sia di correre in solitaria e che sia disinteressata all’unione delle forze. Tra gli altri ospiti, poi, il rettore dell’Università Stefano Bronzini, il direttore del Conservatorio Corrado Roselli e Augusto Masiello, presidente del teatro Kismet di Bari.
Per candidarsi, spiega il maggior quotidiano del Sud Italia, è necessario stilare un dossier in cui si spiega il perché, una città, un paese abbia tutte le carte in regola per rappresentare la cultura della penisola italica. Ma non solo. È necessario anche provare ad immaginare una visione futura per il territorio, una visione che passi proprio attraverso quel patrimonio storico e artistico enunciato nel dossier. A spiegarlo, nell’articolo, è il sindaco di Bitonto: «Preparare il dossier è un investimento pesante. C’è tutta la parte di analisi tecnica per dimostrare che sei in grado di partecipare. Parma quando fece la scelta di candidarsi si affidò alla sua Fondazione per la preparazione del dossier, con l’appoggio di investitori privati. Non si valuta il patrimonio artistico di una città, non ci sarebbe gara tra ciò che già c’è, ma su una sorta di piano che faresti, su come può cambiare la città. Ai molfettesi mi viene da proporre una mediazione, magari creando una commissione con tutti i tecnici dei Comuni metropolitani per un progetto comune. Ripeto, preparare un dossier per un ente locale è oneroso, io a Bitonto sono riuscito a organizzarlo per il fermento che la candidatura produsse, per tutto l’entusiasmo creato. Dopodichè le valutazioni sono su tanti fronti: sulla capacità di incidere sulla società, sulla cultura come grimaldello per la cultura mafiosa, come strumento antimafia».
Argomento, quest’ultimo, a cui è sensibile anche il sindaco del capoluogo, reduce da confronti con il suo omologo di Taranto: «Partecipare alla competizione per la conquista del titolo di Capitale italiana della Cultura rappresenta una scelta decisiva guardando al futuro. Non si tratta solo di mettere in mostra le bellezze monumentali e artistiche, valorizzando le iniziative culturali e promuovendo il territorio. Il «dossier» da presentare al Ministero deve raccogliere idee e progetti attraverso i quali raggiungere obiettivi fondamentali in una moderna visione politica della crescita di una comunità: il primato dell’antimafia sociale, che la cultura può aiutare a raggiungere e consolidare attraverso interventi nelle periferie; il radicamento della bellezza, intesa come cultura del bello da opporre al degrado urbano. Anche questa può rappresentare un’altra arma per combattere la cultura mafiosa e l’emarginazione».
Decaro è convinto della necessità di fare sintesi, anche e soprattutto alla luce del legame tra i territori dei paesi in gara: «Tante sono le città pugliesi candidate al titolo e legittime le aspirazioni di tutte. Credo, tuttavia, nella necessità di fare sintesi, di unire le forze e presentare una candidatura unica. Bari può rappresentare tutta la Puglia in questo momento di grande effervescenza culturale, ma ripeto: diventare Capitale della cultura significa realizzare un percorso che coinvolge le persone. Non è voler privilegiare Bari: la sfida contro città del calibro di Genova o L’Aquila la vinci non solo se hai le carte in regola dal punto di vista dell’offerta culturale. La vinci se hai infrastrutture come l’aeroporto e il porto; la vinci se affermi le idee di cui parlavo: cultura nelle periferie per battere criminalità ed emarginazione, bellezza, ponti tra territori».
Un ruolo importante potrebbe giocarlo l’università di Bari, secondo il rettore Bronzini, secondo cui può essere il ponte che unisce, nel nome della cultura, due città che si affacciano su due mari diversi: «L’Università può giocare il ruolo di ambasciatrice. È necessaria la contaminazione tra territori, la più estesa possibile. Bari è una delle poche città italiane dove si aprono e non si chiudono teatri. Va premiata solo per quello. Dobbiamo saper mettere tutto insieme, perché avviare processi culturali ampi significa trasformare un suddito in cittadino, costruire spazi di aggregazione sociale e di conseguenza togliere spazio alla mafia. Serve però un regista. Ognuno di noi può fare qualcosa ma serve un decisore. Inoltre, serve la presenza della Regione, è una presenza istituzionale che fa la differenza. Partecipare alla competizione come Capitale della cultura serve a modificare un approccio vecchio con uno nuovo, se riusciamo a farlo abbiamo già vinto. Vince chi candida un territorio, per questo bisogna trovare una caratteristica unica, vincono i collegamenti, la capacità di ascolto di collaborazione, di chi sa sintonizzarsi».