Dal professor Franco Mundo riceviamo e pubblichiamo. “È il 4 novembre, giorno in cui si celebra l’Unità della Nazione e si rende omaggio alle nostre Forze Armate chiamate a difendere, anche in armi e a costo di estremo sacrificio, i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana. Fino agli anni ’70, la giornata odierna era Festa Nazionale, la Festa della Vittoria. Si celebrava la fine della Prima Guerra Mondiale e la vittoria sull’Impero Austroungarico sancita dall’Armistizio di Villa Giusti, entrato in vigore nel pomeriggio del 4 novembre 1918. Per molti storici, quella fu la fine dell’ultima guerra d’indipendenza attraverso la quale si concluse il processo unitario, guidato dal Regno di Piemonte e Sardegna, già iniziato con i moti insurrezionali anche negli Stati preunitari e proseguito con le Guerre d’Indipendenza nel XIX secolo. Una data simbolica quindi, pregna di tanti significati, condivisibili o meno, ma tutti orientati a celebrare la Memoria, il Ricordo. In era moderna, non si celebra il ‘trionfo’, ma si esalta il Ricordo, la Memoria. È il ricordo del sacrificio collettivo di un popolo per nobili fini e per il ritorno alla Pace. Indirettamente quindi, si celebra la riconquista della Pace, di un altissimo e universale valore, più che la vittoria su un avversario. Ma può la Memoria di questi avvenimenti esaurirsi in una singola data? Certamente no. Non a caso in ogni città, piccola e grande che sia, in ogni borgo d’Italia, c’è almeno un cippo, una lapide che ne richiama al residente e al viandante il “Ricordo”. Il compito di ricordare, è delegato quindi ai monumenti. Le derivazione latina del termine ‘monumento’, nella lingua italiana, ha questo specifico significato. Il monumento quindi, attraverso il linguaggio dell’Architettura e quello scritto, può e deve esprimere significati simbolici che richiamano l’evento storico o il personaggio per il quale è stato concepito. Nella nostra città il monumento, l’opera architettonica dedicata al Ricordo dei Caduti per la Patria (nella bella foto di Francesco Lisi) è situato nella centralissima Piazza Marconi, in una posizione prospettica preminente rispetto al contesto circostante e fulcro del tessuto urbano locale. Ma transitandovi accanto, osservandone lo stato manutentivo e i luoghi immediatamente adiacenti nelle varie ore della giornata, si ha l’impressione che quell’opera monumentale di rilevante valore simbolico, non abbia un posto di altrettanta eminenza nell’animo di non pochi nostri concittadini, giovani e meno giovani. Due giorni fa, osservandolo ancora una volta e soffermandomi su alcuni tratti significativi, l’impressione che ne ho tratto è che esso più che evocare un rispettoso Ricordo per ciò che rappresenta, sia divenuto simbolo della dimenticanza dei singoli e collettiva. Parti metalliche semi arrugginite, presenza di stupide scritte, pennone della bandiera sverniciato in più parti e mancante proprio dell’elemento più importante: il tricolore. Secondo una certa corrente di pensiero quel monumento non è altro che una volgare impalcatura priva di significato. E devo dire che lo stato conservativo porta ad assecondare questa opinione. Ma è proprio così? Personalmente sono di ben altro avviso e tenterò di spiegare il perché. Intanto occorre dire che è un’opera moderna concepita negli anni “70 e posta nello stesso luogo dove sorgeva il vecchio cippo marmoreo quadrangolare, recante in sommità una semplice lampada elettrica a forma di piccolo braciere. Gli elementi significativi e simbolici sono costituiti da: un solido basamento calcareo su cui giace un simbolico sarcofago lapideo recante la scritta: AI CADUTI IN GUERRA. SI OFFRIRONO IN OLOCAUSTO PER UN MONDO MIGLIORE. Il sarcofago si erge a ridosso di un muro in conci di pietra locale che rappresenta una solida costruzione, iniziata, ma in itinere; l’impalcatura metallica che sovrasta la parte litica, serve a rafforzare l’idea simbolica del lavoro e della costruzione e a sorreggere, verso l’Alto un’urna lapidea che idealmente dovrebbe custodire l’ideale progetto di Libertà, di Giustizia e di Fratellanza (il MONDO MIGLIORE); una struttura bronzea che sorregge un braciere, dove dovrebbe ardere una viva fiamma (vivo RICORDO) come simbolo di luce eterna e volontà d’illuminare il nobile cammino verso gli alti Ideali già richiamati; un pennone metallico che dovrebbe sorreggere, in modo permanente, la bandiera tricolore per la quale i defunti sono caduti. Ma non è tutto. Mi ha incuriosito l’uso del termine “OLOCAUSTO”. Un termine che comunemente associamo allo sterminio degli Ebrei avvenuto durante la Seconda Guerra mondiale. Ma in questo caso non è così. Lo stesso termine lo troviamo scolpito a caratteri cubitali, in alto, sul fianco Est del Mausoleo ai Caduti della Prima Guerra mondiale, nel cimitero cittadino. Il Mausoleo, imponente, recante i nomi di tutti i nostri caduti in quel conflitto, fu eretto durante il ventennio e inaugurato solennemente ben prima del settembre 1938 (emanazione delle prime leggi raziali di mussoliniana memoria!!). Ergo, al termine olocausto non si può che attribuire l’arcaico significato di “ESTREMO SACRIFICIO”. Ultimo importante particolare, è l’assenza di armi o simboli simili. Non vi è una spada, un fucile, un elmo. Niente che possa richiamare la guerra. Un caso? Non credo proprio. La guerra distrugge, non costruisce. Allora vuol dire che per esclusione, chi ha ideato il monumento, ha voluto interpretare il monito di coloro che in guerra hanno donato la loro vita, esortando i superstiti a costruire un mondo migliore fondato sulla Pace e su sani Principi Universali, non certo sulla guerra. Al termine di queste mie riflessioni, panso che la nostra Comunità, in tutte le sue espressioni, dovrebbe avere maggiore rispetto e in tutt’altra considerazione simboli e cose come queste. Esse stesse rappresentano il bene comune. E non dovremmo avere paura nemmeno di chiamare la giornata di oggi “Festa della Vittoria” e delle Forze Armate. Non abbiamo nulla da temere. I nostri principi costituzionali costituiscono i capisaldi della Democrazia repubblicana e sono ben chiari a tutti”.