Abbiamo parlato già di come, nell’immediato dopoguerra, si svolgesse una delle attività più importanti in politica, nelle città, in campagna elettorale, ma non solo: la comunicazione, fatta, principalmente con comizi e pubblici incontri, manifesti e megafoni.
Nell’affrontare l’argomento abbiamo accennato ad un curioso e simpatico episodio di comunicazione politica, durante la campagna elettorale del ’48 e quelle successive, quando alcuni giovani militanti della Democrazia Cristiana si inventarono “L’ora lieta dell’elettore”. Dalla sede cittadina, trasmettevano, quasi fosse una reale trasmissione radiofonica, dei messaggi preregistrati in dialetto bitontino e diffusi via megafono. Messaggi contenenti sfottò verso gli avversari politici, dai comunisti ai monarchici e ai missini. Un modo per fare, attraverso l’ironia e la satira, campagna elettorale a favore dello scudo crociato. Messaggi di cui è stata conservata la memoria e che, nel 2011, furono pubblicati dal “Da Bitonto”, in un cd.
«Cittadini, elettori, questa trasmissione della Democrazia Cristiana, che giunge negli ultimi giorni di lotta elettorale, vuole portare una nota lieta e di serenità» è l’inizio delle trasmissioni, in cui l’uso della lingua italiana, si alternava a barzellette in vernacolo bitontino, accompagnate da musiche dell’epoca. Lo scopo principale è rispondere alle «molte chiacchiere dei nostri avversari monarchici, missini e socialcomunisti».
Il Msi è nato da poco, portando alla fine del Fronte dell’Uomo Qualunque, mentre i socialisti e i comunisti corrono, nel ’48, in una lista unica, il Fronte Democratico Popolare, che ha come simbolo un ramoscello di ulivo, che diventa un oggetto di sfottò da parte dei militanti democristiani, con una canzoncina che recita: «La falce ed il martello hanno lasciato. Col ramoscel d’ulivo han provveduto a metter su una lista che attiri coloro che ignorano i raggiri».
Diverse le barzellette che hanno come obiettivo l’alleanza socialcomunista. Come quella del pappagallo che, abituato a ripetere i messaggi politici del proprio padrone, raduna una massa di persone, ignare che a pronunciarle fosse solo un uccello, al grido di “Evviva u comunism, abbascie u’mbèrialism, evviva re fadigatiure, abbascie re sfruttatiure, evviva re prolètarie, abbascie re propriètarie, evviva cur, abbascie cur, evviva skit u coloure russe”.
Alla scena assiste il segretario comunista che pensa a quanto sia “senza giudizie” la “massa prolitariè”, pronta ad applaudire a chi fa più rumore.
Gli autori dei messaggi, quindi, attraverso l’ironia predicano il loro anticomunismo, ricordando i pericoli che, a detta loro, l’avanzata comunista porterebbe. I comunisti sono accusati, infatti, di non lavorare per la democrazia, ma di volere uno stato comunista, su modello dell’Unione Sovietica, come cantano i versi dialettali: «Cittadini non vi fate ingannare, quella gente obbedisce a Stalin, che con la guerra vuole prendere il mondo e l’Italia occupar».
Anticomunismo che si manifesta anche nei successivi appuntamenti elettorali, dopo la guerra di Corea, provocata nel ’50 dall’ invasione nord coreane nella parte meridionale della penisola: “Di pace voi parlate, ma in Corea la guerra voi fate”.
E ancora: «Ai cittadini tutti diamo dei consigli. Se vincono i comunisti succederà chissà cosa, chissà cosa succederà».
Oppure: «La falce ed il martello sono scomparsi. Al loro posto un ramoscello d’ulivo, ma gratta gratta con attenzione, ci troverai sempre Baffone (Stalin, ndr)».
Per ultimo, infine, ai socialcomunisti si rimprovera di volere solo tasse, argomento questo che accompagnerà la storia delle campagne elettorali sino ai giorni nostri.
Quindi, l’invito a votare la Dc, unico baluardo contro il socialcomunismo «che attenta alle libertà fondamentali del cittadino», e a non “sciupare” voti verso monarchici e missini.
Ma non solo la sinistra è presa di mira dai democristiani, che attaccano anche i neofascisti del Msi nelle loro gag: «Se non vogliamo falce e martello, nemmen la purga e il manganello […] Voi che urlate “Viva l’Italia”, ma con la fiamma (logo del movimento, ndr) la volete bruciare. O cittadino non ti scordare l’olio di ricino e il tribunale. La dittatura non la vogliamo, camicia nera non devi indossare. […] Per venti anni voi ci ingannaste, u voute vu potite scurdà».
Lo storico logo del Movimento Sociale Italiano, poi, diventa oggetto di sfottò, quando uno degli autori delle trasmissioni registrate racconta la barzelletta del vigile del fuoco che arriva da Bari perché gli avevano raccontato che Bitonto fosse in preda alle fiamme, ma giunto sul luogo un cittadino lo rassicura: «Naun, chir so re fiamme du pipigas, puzzene, ma nan abbrusciene».
Ai monarchici, invece, si rimprovera l’apparentamento con i missini, sconfessato, a dir loro, anche dal reggente di casa Savoia Umberto II, ultimo re d’Italia: «Re Umberto già ve lo ha detto, la vostra alleanza gradita non è».
E, riprendendo una dichiarazione presunta fatta dai monarchici, secondo cui sarebbe preferibile la vittoria comunista a quella dello scudo crociato, i democristiani li accusano di fare come un ragazzo che, per fare un dispetto alla propria fidanzata, si suicida: «Re prime a patoje, ce vèngene re comuniste, avita iesse viù».
Quindi, ai sostenitori della corona sabauda, la dura accusa di vendere l’Italia ai comunisti.
Abbiamo parlato già di come, nell’immediato dopoguerra, si svolgesse una delle attività più importanti in politica, nelle città, in campagna elettorale, ma non solo: la comunicazione, fatta, principalmente con comizi e pubblici incontri, manifesti e megafoni.
Nell’affrontare l’argomento abbiamo accennato ad un curioso e simpatico episodio di comunicazione politica, durante la campagna elettorale del ’48 e quelle successive, quando alcuni giovani militanti della Democrazia Cristiana si inventarono “L’ora lieta dell’elettore”. Dalla sede cittadina, trasmettevano, quasi fosse una reale trasmissione radiofonica, dei messaggi preregistrati in dialetto bitontino e diffusi via megafono. Messaggi contenenti sfottò verso gli avversari politici, dai comunisti ai monarchici e ai missini. Un modo per fare, attraverso l’ironia e la satira, campagna elettorale a favore dello scudo crociato. Messaggi di cui è stata conservata la memoria e che, nel 2011, furono pubblicati dal “Da Bitonto”, in un cd.
«Cittadini, elettori, questa trasmissione della Democrazia Cristiana, che giunge negli ultimi giorni di lotta elettorale, vuole portare una nota lieta e di serenità» è l’inizio delle trasmissioni, in cui l’uso della lingua italiana, si alternava a barzellette in vernacolo bitontino, accompagnate da musiche dell’epoca. Lo scopo principale è rispondere alle «molte chiacchiere dei nostri avversari monarchici, missini e socialcomunisti».
Il Msi è nato da poco, portando alla fine del Fronte dell’Uomo Qualunque, mentre i socialisti e i comunisti corrono, nel ’48, in una lista unica, il Fronte Democratico Popolare, che ha come simbolo un ramoscello di ulivo, che diventa un oggetto di sfottò da parte dei militanti democristiani, con una canzoncina che recita: «La falce ed il martello hanno lasciato. Col ramoscel d’ulivo han provveduto a metter su una lista che attiri coloro che ignorano i raggiri».
Diverse le barzellette che hanno come obiettivo l’alleanza socialcomunista. Come quella del pappagallo che, abituato a ripetere i messaggi politici del proprio padrone, raduna una massa di persone, ignare che a pronunciarle fosse solo un uccello, al grido di “Evviva u comunism, abbascie u’mbèrialism, evviva re fadigatiure, abbascie re sfruttatiure, evviva re prolètarie, abbascie re propriètarie, evviva cur, abbascie cur, evviva skit u coloure russe”.
Alla scena assiste il segretario comunista che pensa a quanto sia “senza giudizie” la “massa prolitariè”, pronta ad applaudire a chi fa più rumore.
Gli autori dei messaggi, quindi, attraverso l’ironia predicano il loro anticomunismo, ricordando i pericoli che, a detta loro, l’avanzata comunista porterebbe. I comunisti sono accusati, infatti, di non lavorare per la democrazia, ma di volere uno stato comunista, su modello dell’Unione Sovietica, come cantano i versi dialettali: «Cittadini non vi fate ingannare, quella gente obbedisce a Stalin, che con la guerra vuole prendere il mondo e l’Italia occupar».
Anticomunismo che si manifesta anche nei successivi appuntamenti elettorali, dopo la guerra di Corea, provocata nel ’50 dall’ invasione nord coreane nella parte meridionale della penisola: “Di pace voi parlate, ma in Corea la guerra voi fate”.
E ancora: «Ai cittadini tutti diamo dei consigli. Se vincono i comunisti succederà chissà cosa, chissà cosa succederà».
Oppure: «La falce ed il martello sono scomparsi. Al loro posto un ramoscello d’ulivo, ma gratta gratta con attenzione, ci troverai sempre Baffone (Stalin, ndr)».
Per ultimo, infine, ai socialcomunisti si rimprovera di volere solo tasse, argomento questo che accompagnerà la storia delle campagne elettorali sino ai giorni nostri.
Quindi, l’invito a votare la Dc, unico baluardo contro il socialcomunismo «che attenta alle libertà fondamentali del cittadino», e a non “sciupare” voti verso monarchici e missini.
Ma non solo la sinistra è presa di mira dai democristiani, che attaccano anche i neofascisti del Msi nelle loro gag: «Se non vogliamo falce e martello, nemmen la purga e il manganello […] Voi che urlate “Viva l’Italia”, ma con la fiamma (logo del movimento, ndr) la volete bruciare. O cittadino non ti scordare l’olio di ricino e il tribunale. La dittatura non la vogliamo, camicia nera non devi indossare. […] Per venti anni voi ci ingannaste, u voute vu potite scurdà».
Lo storico logo del Movimento Sociale Italiano, poi, diventa oggetto di sfottò, quando uno degli autori delle trasmissioni registrate racconta la barzelletta del vigile del fuoco che arriva da Bari perché gli avevano raccontato che Bitonto fosse in preda alle fiamme, ma giunto sul luogo un cittadino lo rassicura: «Naun, chir so re fiamme du pipigas, puzzene, ma nan abbrusciene».
Ai monarchici, invece, si rimprovera l’apparentamento con i missini, sconfessato, a dir loro, anche dal reggente di casa Savoia Umberto II, ultimo re d’Italia: «Re Umberto già ve lo ha detto, la vostra alleanza gradita non è».
E, riprendendo una dichiarazione presunta fatta dai monarchici, secondo cui sarebbe preferibile la vittoria comunista a quella dello scudo crociato, i democristiani li accusano di fare come un ragazzo che, per fare un dispetto alla propria fidanzata, si suicida: «Re prime a patoje, ce vèngene re comuniste, avita iesse viù».
Quindi, ai sostenitori della corona sabauda, la dura accusa di vendere l’Italia ai comunisti.
Abbiamo parlato già di come, nell’immediato dopoguerra, si svolgesse una delle attività più importanti in politica, nelle città, in campagna elettorale, ma non solo: la comunicazione, fatta, principalmente con comizi e pubblici incontri, manifesti e megafoni.
Nell’affrontare l’argomento abbiamo accennato ad un curioso e simpatico episodio di comunicazione politica, durante la campagna elettorale del ’48 e quelle successive, quando alcuni giovani militanti della Democrazia Cristiana si inventarono “L’ora lieta dell’elettore”. Dalla sede cittadina, trasmettevano, quasi fosse una reale trasmissione radiofonica, dei messaggi preregistrati in dialetto bitontino e diffusi via megafono. Messaggi contenenti sfottò verso gli avversari politici, dai comunisti ai monarchici e ai missini. Un modo per fare, attraverso l’ironia e la satira, campagna elettorale a favore dello scudo crociato. Messaggi di cui è stata conservata la memoria e che, nel 2011, furono pubblicati dal “Da Bitonto”, in un cd.
«Cittadini, elettori, questa trasmissione della Democrazia Cristiana, che giunge negli ultimi giorni di lotta elettorale, vuole portare una nota lieta e di serenità» è l’inizio delle trasmissioni, in cui l’uso della lingua italiana, si alternava a barzellette in vernacolo bitontino, accompagnate da musiche dell’epoca. Lo scopo principale è rispondere alle «molte chiacchiere dei nostri avversari monarchici, missini e socialcomunisti».
Il Msi è nato da poco, portando alla fine del Fronte dell’Uomo Qualunque, mentre i socialisti e i comunisti corrono, nel ’48, in una lista unica, il Fronte Democratico Popolare, che ha come simbolo un ramoscello di ulivo, che diventa un oggetto di sfottò da parte dei militanti democristiani, con una canzoncina che recita: «La falce ed il martello hanno lasciato. Col ramoscel d’ulivo han provveduto a metter su una lista che attiri coloro che ignorano i raggiri».
Diverse le barzellette che hanno come obiettivo l’alleanza socialcomunista. Come quella del pappagallo che, abituato a ripetere i messaggi politici del proprio padrone, raduna una massa di persone, ignare che a pronunciarle fosse solo un uccello, al grido di “Evviva u comunism, abbascie u’mbèrialism, evviva re fadigatiure, abbascie re sfruttatiure, evviva re prolètarie, abbascie re propriètarie, evviva cur, abbascie cur, evviva skit u coloure russe”.
Alla scena assiste il segretario comunista che pensa a quanto sia “senza giudizie” la “massa prolitariè”, pronta ad applaudire a chi fa più rumore.
Gli autori dei messaggi, quindi, attraverso l’ironia predicano il loro anticomunismo, ricordando i pericoli che, a detta loro, l’avanzata comunista porterebbe. I comunisti sono accusati, infatti, di non lavorare per la democrazia, ma di volere uno stato comunista, su modello dell’Unione Sovietica, come cantano i versi dialettali: «Cittadini non vi fate ingannare, quella gente obbedisce a Stalin, che con la guerra vuole prendere il mondo e l’Italia occupar».
Anticomunismo che si manifesta anche nei successivi appuntamenti elettorali, dopo la guerra di Corea, provocata nel ’50 dall’ invasione nord coreane nella parte meridionale della penisola: “Di pace voi parlate, ma in Corea la guerra voi fate”.
E ancora: «Ai cittadini tutti diamo dei consigli. Se vincono i comunisti succederà chissà cosa, chissà cosa succederà».
Oppure: «La falce ed il martello sono scomparsi. Al loro posto un ramoscello d’ulivo, ma gratta gratta con attenzione, ci troverai sempre Baffone (Stalin, ndr)».
Per ultimo, infine, ai socialcomunisti si rimprovera di volere solo tasse, argomento questo che accompagnerà la storia delle campagne elettorali sino ai giorni nostri.
Quindi, l’invito a votare la Dc, unico baluardo contro il socialcomunismo «che attenta alle libertà fondamentali del cittadino», e a non “sciupare” voti verso monarchici e missini.
Ma non solo la sinistra è presa di mira dai democristiani, che attaccano anche i neofascisti del Msi nelle loro gag: «Se non vogliamo falce e martello, nemmen la purga e il manganello […] Voi che urlate “Viva l’Italia”, ma con la fiamma (logo del movimento, ndr) la volete bruciare. O cittadino non ti scordare l’olio di ricino e il tribunale. La dittatura non la vogliamo, camicia nera non devi indossare. […] Per venti anni voi ci ingannaste, u voute vu potite scurdà».
Lo storico logo del Movimento Sociale Italiano, poi, diventa oggetto di sfottò, quando uno degli autori delle trasmissioni registrate racconta la barzelletta del vigile del fuoco che arriva da Bari perché gli avevano raccontato che Bitonto fosse in preda alle fiamme, ma giunto sul luogo un cittadino lo rassicura: «Naun, chir so re fiamme du pipigas, puzzene, ma nan abbrusciene».
Ai monarchici, invece, si rimprovera l’apparentamento con i missini, sconfessato, a dir loro, anche dal reggente di casa Savoia Umberto II, ultimo re d’Italia: «Re Umberto già ve lo ha detto, la vostra alleanza gradita non è».
E, riprendendo una dichiarazione presunta fatta dai monarchici, secondo cui sarebbe preferibile la vittoria comunista a quella dello scudo crociato, i democristiani li accusano di fare come un ragazzo che, per fare un dispetto alla propria fidanzata, si suicida: «Re prime a patoje, ce vèngene re comuniste, avita iesse viù».
Quindi, ai sostenitori della corona sabauda, la dura accusa di vendere l’Italia ai comunisti.
Abbiamo parlato già di come, nell’immediato dopoguerra, si svolgesse una delle attività più importanti in politica, nelle città, in campagna elettorale, ma non solo: la comunicazione, fatta, principalmente con comizi e pubblici incontri, manifesti e megafoni.
Nell’affrontare l’argomento abbiamo accennato ad un curioso e simpatico episodio di comunicazione politica, durante la campagna elettorale del ’48 e quelle successive, quando alcuni giovani militanti della Democrazia Cristiana si inventarono “L’ora lieta dell’elettore”. Dalla sede cittadina, trasmettevano, quasi fosse una reale trasmissione radiofonica, dei messaggi preregistrati in dialetto bitontino e diffusi via megafono. Messaggi contenenti sfottò verso gli avversari politici, dai comunisti ai monarchici e ai missini. Un modo per fare, attraverso l’ironia e la satira, campagna elettorale a favore dello scudo crociato. Messaggi di cui è stata conservata la memoria e che, nel 2011, furono pubblicati dal “Da Bitonto”, in un cd.
«Cittadini, elettori, questa trasmissione della Democrazia Cristiana, che giunge negli ultimi giorni di lotta elettorale, vuole portare una nota lieta e di serenità» è l’inizio delle trasmissioni, in cui l’uso della lingua italiana, si alternava a barzellette in vernacolo bitontino, accompagnate da musiche dell’epoca. Lo scopo principale è rispondere alle «molte chiacchiere dei nostri avversari monarchici, missini e socialcomunisti».
Il Msi è nato da poco, portando alla fine del Fronte dell’Uomo Qualunque, mentre i socialisti e i comunisti corrono, nel ’48, in una lista unica, il Fronte Democratico Popolare, che ha come simbolo un ramoscello di ulivo, che diventa un oggetto di sfottò da parte dei militanti democristiani, con una canzoncina che recita: «La falce ed il martello hanno lasciato. Col ramoscel d’ulivo han provveduto a metter su una lista che attiri coloro che ignorano i raggiri».
Diverse le barzellette che hanno come obiettivo l’alleanza socialcomunista. Come quella del pappagallo che, abituato a ripetere i messaggi politici del proprio padrone, raduna una massa di persone, ignare che a pronunciarle fosse solo un uccello, al grido di “Evviva u comunism, abbascie u’mbèrialism, evviva re fadigatiure, abbascie re sfruttatiure, evviva re prolètarie, abbascie re propriètarie, evviva cur, abbascie cur, evviva skit u coloure russe”.
Alla scena assiste il segretario comunista che pensa a quanto sia “senza giudizie” la “massa prolitariè”, pronta ad applaudire a chi fa più rumore.
Gli autori dei messaggi, quindi, attraverso l’ironia predicano il loro anticomunismo, ricordando i pericoli che, a detta loro, l’avanzata comunista porterebbe. I comunisti sono accusati, infatti, di non lavorare per la democrazia, ma di volere uno stato comunista, su modello dell’Unione Sovietica, come cantano i versi dialettali: «Cittadini non vi fate ingannare, quella gente obbedisce a Stalin, che con la guerra vuole prendere il mondo e l’Italia occupar».
Anticomunismo che si manifesta anche nei successivi appuntamenti elettorali, dopo la guerra di Corea, provocata nel ’50 dall’ invasione nord coreane nella parte meridionale della penisola: “Di pace voi parlate, ma in Corea la guerra voi fate”.
E ancora: «Ai cittadini tutti diamo dei consigli. Se vincono i comunisti succederà chissà cosa, chissà cosa succederà».
Oppure: «La falce ed il martello sono scomparsi. Al loro posto un ramoscello d’ulivo, ma gratta gratta con attenzione, ci troverai sempre Baffone (Stalin, ndr)».
Per ultimo, infine, ai socialcomunisti si rimprovera di volere solo tasse, argomento questo che accompagnerà la storia delle campagne elettorali sino ai giorni nostri.
Quindi, l’invito a votare la Dc, unico baluardo contro il socialcomunismo «che attenta alle libertà fondamentali del cittadino», e a non “sciupare” voti verso monarchici e missini.
Ma non solo la sinistra è presa di mira dai democristiani, che attaccano anche i neofascisti del Msi nelle loro gag: «Se non vogliamo falce e martello, nemmen la purga e il manganello […] Voi che urlate “Viva l’Italia”, ma con la fiamma (logo del movimento, ndr) la volete bruciare. O cittadino non ti scordare l’olio di ricino e il tribunale. La dittatura non la vogliamo, camicia nera non devi indossare. […] Per venti anni voi ci ingannaste, u voute vu potite scurdà».
Lo storico logo del Movimento Sociale Italiano, poi, diventa oggetto di sfottò, quando uno degli autori delle trasmissioni registrate racconta la barzelletta del vigile del fuoco che arriva da Bari perché gli avevano raccontato che Bitonto fosse in preda alle fiamme, ma giunto sul luogo un cittadino lo rassicura: «Naun, chir so re fiamme du pipigas, puzzene, ma nan abbrusciene».
Ai monarchici, invece, si rimprovera l’apparentamento con i missini, sconfessato, a dir loro, anche dal reggente di casa Savoia Umberto II, ultimo re d’Italia: «Re Umberto già ve lo ha detto, la vostra alleanza gradita non è».
E, riprendendo una dichiarazione presunta fatta dai monarchici, secondo cui sarebbe preferibile la vittoria comunista a quella dello scudo crociato, i democristiani li accusano di fare come un ragazzo che, per fare un dispetto alla propria fidanzata, si suicida: «Re prime a patoje, ce vèngene re comuniste, avita iesse viù».
Quindi, ai sostenitori della corona sabauda, la dura accusa di vendere l’Italia ai comunisti.