«Solo se hai sofferto, se conosci il sacrificio, puoi capire chi soffre». Ne è convinto don Ciccio Acquafredda che della vicinanza agli ultimi, alle famiglie bisognose, ha fatto il suo credo.
Per mezzo secolo, il parroco del centro storico ha fatto di tutto pur di aiutare gli altri, sempre nel silenzio, senza alcun interesse personale. Solo per amore di Dio e dei fratelli.
«Qualcuno mi ha detto che ho le mani bucate per gli altri. Ma io tra le mie mani non sono mai stato abituato ad aver nulla» ha raccontato ai tanti fedeli che venerdì scorso nel salone Episcopio hanno ascoltato la sua storia.
Per celebrare il 50esimo anniversario della sua Ordinazione Presbiteriale, don Ciccio infatti ha organizzato sei incontri per parlare del dono del sacerdozio.
Il programma, partito il 18 giugno, ha visto tra gli ospiti e relatori Mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura – Gravina – Acquaviva delle Fonti, Mons. Luigi Renna, vescovo di Cerignola – Ascoli Satriano, Mons. Gianni Caliandro, Rettore Pontificio Seminario Regionale Pugliese Pio XI di Molfetta, Mons. Lucio Renna, Vescovo emerito di San Severo, e Mons. Cristoforo Palmieri, vescovo emerito di Rreshen (Albania).
Venerdì è toccato invece proprio al parroco della Cattedrale raccontare il suo cammino, partito dalle basi solide della famiglia, la “prima Chiesa”, e appunto dai tanti dolori vissuti in gioventù.
«Non ho mai conosciuto mio padre, perché morì durante la Seconda Guerra Mondiale, quando io avevo solo un anno. Mamma, rimasta orfana di padre già durante la Prima Guerra, si ritrovò quindi vedova con due bambini a cui badare. Abbiamo conosciuto momenti difficili, grandi sofferenze e dolori, ma li abbiamo affrontati sempre con dignità. Mia madre non ha mai voluto chiedere aiuto, ha sempre fatto tanti sacrifici pur di consentirci di avere un po’ di pane». E altrettanti ne ha fatti per educare il discolo Francesco, pronto persino a marinare il catechismo e la scuola, e per sostenere le sue scelte.
«Dopo la quinta elementare, mia madre mi affidò ad un sarto per imparare il mestiere» racconta. «A 12 anni, con mia madre, andammo a vedere la processione della Desolata, durante la quale cantavano i bambini del seminario. Mia madre, rivolgendosi alla Madonna, disse: “Mio figlio non poteva essere come loro?”. Un giorno allora andai in Cattedrale e chiesi come si potesse entrare in Seminario. Mia madre non ci credeva».
Il giovane Francesco è costretto dunque a recuperare gli anni perduti, a seguire le lezioni del maestro Labianca e a fare gli esami di ammissione alle medie con il professor Leccese.
Anche la vita in Seminario non fu facile. Per un pugno ricevuto da un compagno, don Ciccio infatti si ruppe il setto nasale e rischiò persino di morire, tanto che ricevette l’unzione degli infermi.
Perse dunque ancora un anno e tante volte fu cacciato dal seminario perché impossibilitato a pagare le rette.
Il 24 giugno 1969, quando era poco meno che 30enne, don Ciccio fu finalmente ordinato presbitero. Cerimonia di cui conserva solo i provini delle foto.
«Nonostante tutti gli impedimenti, non mi sono mai arreso. Questo l’ho imparato da mia madre. Devo tutto a lei, al Signore e al sacrificio di mio padre».
«Sono certo che prima di morire, lui abbia pensato a me e a mia sorella. In tutte le lettere a mia madre chiedeva foto di noi e la invitava a star attenta ai suoi figli».
Ora, grazie ad un regalo dei Confratelli potrà pregare sul luogo in cui è deposto.
«Andrò in Russia, nei pressi della fossa comune in cui fu sepolto insieme ad altri 1112 italiani».
Domani, intanto, festeggerà il suo traguardo alle 19 in Cattedrale, con una celebrazione eucaristica presieduta da Mons. Francesco Cacucci.
L’intervista integrale a don Ciccio sarà pubblicata sul prossimo numero del mensile “da BITONTO”.