Una lettrice, M. P. M., ci scrive per chiarire che il post, al centro dell’articolo pubblicato ieri dal nostro giornale telematico, non è stato scritto da lei, ma da un’altra persona, un’altra madre, che avrà vissuto analoga disavventura.
“Leggo con rammarico un articolo apparso su “Da Bitonto” qualche ora fa in margine al doloroso episodio di pestaggio di un ragazzo quindicenne. Si faceva infatti riferimento ad una mamma che lamentava di avere avuto un’analoga esperienza qualche anno fa, ma di non aver avuto la stessa attenzione da parte delle istituzioni. Il riferimento al luogo dei fatti, la villa comunale, ha indotto qualcuno a ritenere che quel commento avessi potuto farlo io, per cui alcuni conoscenti mi hanno segnalato la questione. Allora chiariamo due cose: chi passa attraverso l’esperienza di un pestaggio brutale di un figlio ha una ferita nell’anima che difficilmente si rimargina. A mio figlio é successo a fine giugno del 2016, in una tranquilla sera estiva. Ero a casa, quando arrivò quella telefonata che mi tolse il fiato. E il tempo che mi separò dall’abbraccio di mio figlio in ambulanza fu la frazione più lunga e dolorosa della mia vita. Ogni episodio analogo, ora, è come se riaprisse quella ferita, per cui non potrei certamente stare a soppesare se o quanto le istituzioni si mobilitino per uno o per l’altro. Sarebbe questione ridicola e offensiva del dolore di chi, oggi, sta provando ciò che noi abbiamo provato. Perché vedete, quello che fa soffrire, ad oggi, mio figlio, me e la mia famiglia, è che ancora si ripetano eventi che non DEVONO accadere e, se iniziative di mobilitazione sociale possono servire a risvegliare il senso civico e la solidarietà sociale, esse siano sempre le benvenute. Quanto alla giustizia, pur con i suoi tempi lunghi, fa il suo corso. Io, dal canto mio, credo nei valori dell’onesta’ e nello Stato che li incarna. E il mio orgoglio più grande è che anche mio figlio ci creda ancora…la mia vittoria su chi ha tentato di fargli del male”.