La protagonista di tutto è una sola parola che però, in pratica, racchiude il mondo. Si chiama Storia, rigorosamente con la S maiuscola. Dai latini abbiamo imparato che è, addirittura, “magistra vitae”. Il problema, però, è che da più di qualche anno è in atto un vero e proprio attacco, quasi barbaro, nei suoi confronti. E non soltanto perché, a partire dalla maturità di quest’anno scolastico, scompare la “sua” traccia tra quelle da cui poter scegliere, ma nel suo insieme e nel suo valore. Perché Storia non vuol dire solo nozioni, fatti, sapere quello che è successo per capire il presente. Ma è anche saper consultare le fonti. Approccio storico. Cultura storica. Identità storica. Insomma, è davvero un bene comune. E, guarda caso, è proprio questo il nome dell’appello lanciato qualche tempo fa dallo storico Andrea Giardina, dalla senatrice a vita Liliana Segre e dallo scrittore Andrea Camilleri e che non ha lasciato indifferente il Partito democratico bitontino, il quale ha elaborato un testo con alcune precise idee e proposte su come rilanciare la Storia, e che adesso arriverà all’attenzione dell’Assemblea nazionale dei democratici in programma il mese prossimo. E, poi, magari, anche una vera e propria mozione.
Da corso Vittorio Emanuele sono convinti che bisognerebbe alcune cose. Quattro per l’esattezza.
Uno. Le ore di insegnamento scolastiche. “Il riconoscimento – si legge – della storia come “bene comune” richiede, a nostro parere, una seria, chiara e coerente presa di posizione a tutela dell’insegnamento di questa disciplina nell’intero arco della formazione scolastica. In primo luogo, dunque, è necessario agire per contrastare la riduzione del monte ore di insegnamento, che ha inciso pesantemente sull’insegnamento della storia nel primo ciclo di istruzione, nel biennio del secondo e, con la recente riforma dell’istruzione professionale, anche nel triennio”.
Due. La centralità della ricerca scolastica. “Siamo altresì assolutamente persuasi del fatto che la qualità dell’insegnamento non sia una questione meramente oraria: è necessario promuovere concretamente la ricerca specialistica nel campo specifico della didattica della storia, sia a livello universitario sia a livello di insegnamento nelle scuole. La didattica della storia, riconosciuta nel suo statuto disciplinare autonomo rispetto ad altre forme di ricerca storica, deve fare parte della formazione iniziale e continua degli insegnanti di storia di ogni ordine e grado, affinché l’approccio alla storia sia rigoroso e profondo, ma al tempo stesso efficace nella mediazione con gli studenti, coinvolgente e critico”.
Tre. La prospettiva storica con cui affrontare vecchie e nuove competenze. Iniziando dall’Educazione civica. “La prospettiva di acquisizione delle competenze che di recente sono tornate ad essere definite di “educazione civica” non può a nostro parere che essere una prospettiva anche storica. Il pensiero storico sorregge sempre la comprensione di una civiltà, passata o presente.
Nella convinzione che la scuola, nell’Italia repubblicana e democratica, non abbia la funzione di nazionalizzazione delle masse che ha ricoperto in altri e definiti periodi storici, riteniamo che anche nelle scuole secondarie superiori l’insegnamento dell’educazione civica debba prevedere la partecipazione degli insegnanti di storia nell’individuazione dei temi e nell’attività didattica, almeno in termini di contitolarità esplicita”.
Quattro. Necessità di fare Storia anche fuori dai banchi e aule scolastiche. “Riteniamo che la risposta al “bisogno di storia” emerso nella società civile non possa venire dal solo mondo scolastico, benché a esso sia necessario rivolgere una accorta e precisa cura. Il recente sviluppo della Public History, pur non dovendo né potendo sostituirsi alla didattica della storia, è sintomatico della possibilità di rilanciare la pratica storica rivolta a tutti i cittadini, promuovendo una comprensione critica del rapporto tra storia e memorie e favorendo una relazione consapevole con entrambe”.