Classe 1928, Antonio Cardone era un cronista di razza, specializzato nella cronaca sportina ma in realtà penna sagace e brillante su più argomenti, specie socio – politici, interprete di uno stile insieme raffinato e polemico, signorile e sferzante. Ha lasciato parenti, lettori, colleghi della Gazzetta del Mezzogiorno, del Corriere e della Gazzetta dello Sport, Buongiorno Bitonto e Primo Piano, orfani della sua signorile polemica, della sua colta ironia: un liberale, dunque, quando non era facile – in Puglia e altrove – sottrarsi ad egemonie di altro segno culturale e politico.
Non lasciò mai la sua città e ne fu sempre ambasciatore della tradizione culturale e intellettuale bitontina, dentro e fuori i confini nazionali. Con questo obiettivo Mario Sicolo, Marino Pagano e la figlia di Antonio, Mittì, hanno organizzato una serata in suo onore all’interno del Museo “De Palo – Ungaro”. Ed è stato il prof. Nicola Pice a raccontare – attraverso alcuni scritti di Cardone – la sua storia, gli aneddoti, gli articoli più rilevanti, gli anni d’oro della professione, la capacità di una scrittura che non cadeva mai nel luogo comune o nella banalità: “riusciva a raccontare ciò che vedeva in modo onesto e scrupoloso”.
“Abbiamo un bisogno enorme di maestri – ha aperto l’assessore Rino Mangini -. La presenza delle istituzioni sia segno di speranza: avere dei punti di riferimento, serve a guardarli con rinnovato ottimismo per ‘rubare’ loro il mestiere, raccontare la verità di una comunità amandola come un padre con un figlio. Dobbiamo guardare ad Antonio come un tesoro prezioso, una maestria che va recuperata”. In un momento in cui, come ha ricordato Lino Patruno “oltre a non esserci maestri, non ci sono nemmeno discenti”.
Il ricordo commosso del consigliere regionale Domenico Damascelli è viscerale e famigliare: “Con Antonio avevamo un forte legame personale, una simpatia reciproca. Si compiaceva del mio impegno politico e anche lui si candidò, in un’area moderata, per questo mi incoraggiava, mi stimolava, ci confrontavamo su temi nazionali. Era un dispensatore sano di consigli schietti e sinceri. Bisogna dare lustro a questi personaggi che hanno fatto grande la storia della nostra città, magari intitolando una strada, una biblioteca: sono convinto che la proposta troverà compiacimento da parte di tanti”.
“Avevamo frequentazioni settimanali nella sua vecchia casa di campagna a Palombaio – racconta subito Mimmo Larovere -. Quella abitazione era il suo specchio: l’intelligenza, la creatività e nel disordine riusciva ad estrarre fogli e appunti su cui lavorava”.
“Mi reclutò quasi a scatola chiusa – ha ricordato Piero Ricci -. Antonio era lo chef di una buona cucina giornalistica: bastava una chiacchierata per impaginare il giornale in un attimo, è stato un grande esempio”.
“L’umanità di Antonio è il valore grande da ricordare – ha detto Enzo Foglianese -. Era uno con cui non si poteva litigare: per me non era solo un amico, ma un fratello”.
“Era una persona che a volergli bene ci voleva poco – ha confessato Antonio Di Gennaro -. Mi propose di scrivere una rubrica e di lì a poco ha dato un senso alla mia carriera calcistica”.
Antonio Cardone diceva che “il giornalista deve essere un pirata – ha rivelato Raffaele Capaldi -: coraggioso, solitario, un attaccante che non deve avere nessun ruolo. Ebbe l’intuizione di aprire un blog, lo chiamò “Il graffio”: ‘Quello sarà il futuro’, disse”.
“Sapeva mettersi a disposizione dei piccoli, mi considerò quando io non ero davvero nessuno – dice Enzo Tamborra -. Si impegnò affinché io entrassi nella Gazzetta dello Sport con “Calcio giovane”, che portammo avanti per dieci anni: mi insegnò che nelle piccole cose possono essere nascoste grandi cose”.
Ed è il Fiduciario Coni, giornalista di Avvenire e Famiglia Cristiana, oltre che collaboratore ed erede di Cardone alla Rosea, Nicola Lavacca, a ricordare quanto Antonio fosse stato “Fedele testimone e interprete dello sport” e ha invitato tutti a dare “Più spazio e più ‘alto’ significato allo sport”.
“Il sogno è importante mi diceva sempre Antonio – ha concluso Marino Pagano -, ma il sogno doveva essere un sogno vivo, attaccato alla vita, densamente realistico”.
E il sogno di Antonio, sicuramente, era quello di farsi interprete della realtà. “L’avete conosciuto meglio voi, ho potuto toccare con mano tutto l’affetto che vi legava – ha detto al termine la figlia Mitti Cardone -. Grazie a voi ho riaperto gli scatoloni di mio padre e un dialogo con lui che è stato bruscamente interrotto dalla sua scomparsa”.