Ci sono anche quattro bitontini tra i 13 destinatari della richiesta di rinvio a giudizio richiesta dal sostituto procuratore Remo Epifani nell’ambito dell’inchiesta sull’affidamento del servizio tributi alla società Cerin da parte del Comune di Castellaneta.
Si tratta di persone tutte legate alla storica società di riscossione: Giuseppe Donato Colapinto e Mario Colapinto, rispettivamente padre e figlio ed ex amministratori del soggetto privato; Francesco Paolo Noviello e Grazia Fiore, che nell’organigramma figuravano essere inseriti come dirigenti ed amministratori aziendali.
Per loro, come per altri nove, le accuse sono a vario titolo di peculato al falso e abuso di ufficio.
Il procedimento, nato a seguito di esposti presentati nel 2016 da alcuni consiglieri comunali della città tarantina e poi approfonditi dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza anche per una denuncia-querela presentata direttamente dal Comune un paio d’anni fa, vede coinvolti anche l’attuale sindaco Giovanni Gugliotti, dal 1 novembre anche presidente della Provincia, e all’epoca dei fatti contestati pure nella qualità di assessore al Bilancio; l’allora segretario generale e dirigente ad interim dell’area economico-finanziaria Eugenio De Carlo, attualmente segretario generale al Comune di Taranto; il suo predecessore Pietro Balbino, i suoi successori Michele Galasso, Francesca Capriulo, Giovanni Sicuro; Francesco De Robertis, altra figura apicale dell’organigramma Cerin; gli amministratori di Tributi srl – la società che è subentrata alla Cerin – Giuseppe Diretto e Alessandro Cacciapuoti.
Il concorso in peculato è contestato perché le società di riscossione dei tributi comunali si sarebbero impossessate di 268mila euro appartenenti al Comune, senza che lo stesso, almeno sino al 2016, adottasse alcuna iniziativa sebbene vi fossero verificate le condizioni per la risoluzione del contratto di concessione per grave inadempimento, mettendo peraltro a disposizione di Cerin prima e Tributi Service poi un immobile di proprietà comunale con conseguente appropriazione da parte delle società dell’energia elettrica comunale.
Quello in abuso d’ufficio, invece, riguarda il mancato riconoscimento di debiti fuori bilancio (1,6 milioni nel 2012, 344mila euro nel 2013, 22mila euro nel 2014), violando così il patto di stabilità e non riducendo le indennità di funzione e i gettoni di presenza del 30 per cento.
Il concorso in falso, infine, è per aver indotto il Consiglio comunale ad approvare bilanci e rendiconti per gli esercizi finanziari 2012, 2013 e 2014 non corrispondenti alla reale situazione finanziaria a causa della mancata previsione dei debiti fuori bilancio.
La parola ora passa al Giudice per l’udienza preliminare, che dovrà pronunciarsi sui capi d’accusa.