Quello che vi raccontiamo oggi è un fatto che, letto a quasi un secolo di distanza, può sembrare incredibile e per certi versi fantasioso.
Non per il semplice accaduto in sé – quello, purtroppo, lo leggiamo sui giornali, lo vediamo sui telegiornali neanche così sporadicamente – ma per tutto ciò che ne è scaturito dopo.
Già, perché nel 2019 è impossibile immaginare – soprattutto nello Stivale – tre giorni di guerriglia urbana, di caos totale, di anarchia pura per colpa di una partita di calcio. Anche se durante il suo svolgimento ci scappa persino il morto.
Andando indietro di 99 anni, è davvero accaduto, però. Non in Argentina o in Sudamerica, ma in Italia.
Correva l’anno 1920, allora. Il Belpaese, uscito da qualche mese dal Primo conflitto mondiale, non se la stava affatto passando bene. Si era nel punto più alto del cosiddetto “biennio rosso”. Una lunghissima serie di lotte contadine e occupazioni di fabbriche da parte degli operai, la maggior parte dei quali era tornata proprio dal fronte. E tutti insieme, soprattutto nella parte centro-settentrionale, protestavano per le difficilissime condizioni economiche, salariali, per la qualità della vita, e chiedevano importanti riforme ispirandosi – a loro modo – a quello che era accaduto in Unione sovietica.
Il clima è questo, dunque. Pesante. Irrespirabile. E a Viareggio, anche quella che sembrava essere una normale di partita di calcio, passerà alla storia. Quella negativa, però. Per la prima vittima italiana in una gara di pallone. E per tre giorni davvero di fuoco. Eccole, allora, le tre giornate rosse di Viareggio.
È il 2 maggio. È in programma lo storico derby tra Viareggio e Lucchese. La partita era considerata a rischio perché all’andata, a Lucca, ai tifosi viareggini è stata riservata un’accoglienza a dir poco ostile e avevano, perciò, giurato vendetta. A dirigere la contesa un arbitro lucchese, un tale Rossini, e un guardalinee di casa, Augusto Morganti, ex ufficiale di complemento in congedo.
La partita era agli sgoccioli, e il punteggio fermo su 2-2, con gli ospiti che hanno rimontato il doppio svantaggio del primo tempo.
Poco prima della fine, però, il direttore di gara fischia e questa decisione non è piaciuta affatto al suo collaboratore, che ha iniziato a protestare energicamente. La sua protesta ha avuto un effetto domino, perché i giocatori in campo iniziano a picchiarsi e un gruppo di circa 400 tifosi entra nel rettangolo di gioco scatenando una violenta rissa.
Per tentare di riportare la calma, ecco l’intervento delle forze dell’ordine, polizia e carabinieri. Ma quando tutto sembrava a un passo dall’essersi risolto, ecco la goccia che fa traboccare il vaso. Un colpo esploso dalla rivoltella proprio di un carabiniere colpisce mortalmente al volto Morganti.
È il caos. La locale stazione dei carabinieri è presa d’assalto e in città scoppia il panico e l’anarchia totale. Per tre giorni, 2-3-4 maggio, la Camera del lavoro di Viareggio prende in mano le redini della protesta e, di conseguenza, il comando della famosissima località balneare. Che è stata, per volontà del presidente del Consiglio Francesco Nitti, isolata dal resto del territorio e presa d’assedio e d’assalto dalle truppe governative.
I cocci si sono ricomposti dopo i funerali della vittima, il povero guardalinee, il pomeriggio del 4 maggio. Tutto, con molta calma e non senza difficoltà è tornato all’ordine generale delle cose, anche perché la città toscana è stata presidiata anche nei giorni successivi.
La conclusione ufficiale, però, avverrà soltanto il 13 ottobre dello stesso anno. Il carabiniere che ha ammazzato Morganti, Natale De Carli, è stato assolto perché ha agito per legittima difesa.