La notizia – triste, tristissima – è che, in quel di Brescia, ieri è venuto a mancare il maestro bitontino Giovanni Vacca. Educatore di schiere di alunni divenuti quanto meno ottimi cittadini, era il cugino dell’altro insigne magister Marco.
In suo ricordo, pubblichiamo di seguito lo scritto di uno dei suoi allievi più illustri, Raffaello Tullo, attualmente leader della Rimbamband. Che dedicò questo pensiero alla sua guida in occasione della esibizione del suo gruppo a domicilio dell’insegnante, in terra bresciana.
Leggete: ogni parola è amore, incanto e poesia.
“Questo signore che vedete al mio fianco si chiama Giovanni Vacca. È di Bitonto, ma vive a Brescia dal 2000. È una persona speciale, lo conosco da 35 anni, anzi, gli voglio un bene dell’anima da 35 anni. È stato il mio maestro delle scuole elementari. Non abbiamo mai smesso di sentirci, nonostante la lontananza. Stasera ho fatto spettacolo dalle sue parti, l’ho invitato ed è venuto a vedermi.
Che gioia! Che felicità!
Giovanni non è stato un insegnante, no. Lui è un maestro, nell’accezione più mistica del termine. Amava da morire stare con i suoi alunni e ci ha insegnato tutto ciò che sapeva, con umanità e creatività. Ci voleva veramente bene e noi ce ne accorgevamo, perché un bambino, a quell’età, le cose autentiche le riconosce già. È lui che ha letto e corretto iI mio primo tema di italiano. La traccia era: descrivi l’importanza del verde nelle città.
Io scrissi una lettera in cui mi rivolgevo direttamente agli alberi ed ai fiori della mia città, ricordando loro quanto fossero importanti per me e per i miei concittadini.
Giovanni, il maestro, fu molto colpito dal mio racconto. Non mi mise un voto normale. Non una “A”, non un “Ottimo”, e nemmeno uno stupido numero, no.
Mi scrisse “sei meraviglioso”, che mi arrivò come un cazzotto nello stomaco che ancora riecheggia tutte le volte che ci penso. Ricordo anche che mi fece fare il giro delle classi di tutto l’istituto. Lui lesse il mio tema a tutti. Ed io ero felice, mi sentivo speciale. Mi diede un sacco di punti per quel tema, sì, i punti. Ognuno di noi aveva un tabellone e, tutte le volte che facevamo qualcosa di buono, lui ci dava dei punti. Quando facevamo qualche cazzata, ce ne toglieva qualcuno. Alla fine dell’anno, chi aveva più punti vinceva un premio. Grandissimo. Tutti facevano a gara a chi facesse la cosa migliore. Perché per tirar fuori la parte migliore delle persone, basta farle giocare, che tu sia un adulto o un bambino. E lui lo aveva capito.
Ricordo anche un pomeriggio. Eravamo tutti in classe, si presentò con una cartellina. La poggió sulla cattedra. Tiró fuori dei fogli. Erano dei testi teatrali scritti da lui. Dovevamo preparare la recita di fine anno, ci disse. Chiese a qualcuno dei miei compagni di leggere quei testi, di leggerli “con espressività”. Lo chiese a Mario, a Nicola, a Matteo, a Filippo. Io dentro di me speravo lo chiedesse anche a me. Lo desideravo da morire, ma lui non mi interpellò. Allora mi feci coraggio e chiesi: “Maestro, posso provarci io?”. Lui accettò. Ricordo come fosse ieri l’emozione che provai nel leggere i suoi testi “con espressività”, come suggeriva lui. Mi diede la parte principale ed io già non vedevo l’ora di andare in scena. E in scena ci andammo nell’aula magna, a Giugno. La temibilissima aula magna, troppo grande per le mie capacità, ma troppo piccola per contenere tutte le emozioni vissute su quel palchettino, con tutti i genitori seduti per vedere i loro figli recitare. L’adrenalina prima di salire sul palco, gli applausi, la gente che ti guarda con gli occhi che luccicano. La mia prima volta l’ho vissuta in quell’aula magna, con i testi scritti da Giovanni Vacca, il maestro. Un palco da cui, poi, ho deciso di non scendere mai.
Stasera ho fatto spettacolo solo per lui, per dirgli “grazie”. Perché tutte le cose belle che mi appartengono, me le ha insegnate lui.
Ed anche perché, se oggi faccio il mestiere più bello del mondo, lo devo soprattutto a lui.
A Giovanni Vacca.
Il maestro.
Il mio “meraviglioso” maestro”.