Tra una polemica al vetriolo e l’altra sui quattro quarti della sua italianità (si badi, non la sua italicità), Jannik Sinner tira dritto. Ha espugnato, stringendo i denti per un lieve crampo alla coscia, Vienna nella finale tutta tedesca contro Zverev.
Ho detto tutta tedesca?…
Ma guarda!… Devo essere rimasto in configurazione-Vespa per aver scritto tale corbelleria. Beh! Già che ci sono, vorrei, al Vespa (e senza pungiglione alcuno) chiedere se Sasha Zverev, il finalista, con cotanto nome e cognome, sia da intendersi quale teutone o slavo, dalla Russia con amore. E che dire di un Auger-Aliassime? Togo o Canada? E Shapovalov? Russo pure lui, canadese? Fate vobis… E ricordi il sommo Sampras? Con quel cognome greco ha difeso l’onore della Pallacorda stelle-e-strisce per un buon decennio.
Insomma, è ora di finirla con ‘ste menate nazionalistiche à là Vannacci. E vada pure (forse) per l’insofferenza “di destra” per una volée multiculturale o le ritrosie “di sinistra” per gli sperequativi premi milionari incassati, in tornei e spot, da Sinner. Ma dell’antipaticissimo lavorio ai fianchi anti-Sinner e di certe uscite da parte di noti espertoni in fatto di tennis (tra questi anche il Codacons!?!), idealmente riunitisi nella più brancaleonesca flotilla che si ricordi, si è un tantino stufi.
Da Vienna, Jannik è salpato a Parigi, alla Défense, dove si disputa in questi giorni il vecchio Bercy parigino. Alla Défense, sì, che significa principalmente “Difesa”.
È vincendo lì che Sinner si sta “difendendo” dai suoi avversari, in campo e fuori.
Oggi lo farà, ai quarti, contro Ben Shelton, un mancino terribile che un po’ ricorda Big Mac. Tranquilli, è un americano puro, padre e madre della Georgia, senza commistione alcuna.
E soprattutto, non parla tedesco…

















