Differenza spesso ignorata da chi deve affrontare la crisi coniugale in giudizio, è quella tra assegno di mantenimento al coniuge e assegno divorzile. Capita che ci venga richiesto dal coniuge più debole di ottenere l’assegno di mantenimento anche nel giudizio di divorzio, laddove il definitivo venir meno del vincolo coniugale comporta la cessazione degli obblighi di solidarietà e di assicurare il medesimo tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale, da parte dell’ex coniuge.
Quali sono, quindi, i presupposti per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento e dell’assegno divorzile?
Il primo spetta al coniuge a cui non è addebitata la separazione e che è privo di redditi tali da assicurargli il medesimo tenore di vita coniugale.
Il secondo, invece, spetta all’ex coniuge solo se sussiste una disparità economico-patrimoniale, causata dal sacrificio delle aspettative professionali del richiedente l’assegno, per favorire l’ascesa dell’altro.
A riguardo, le Sezioni Unite del 2018, scardinando una giurisprudenza di oltre quarant’anni, ha “reinventato” la norma dettata dall’art.5 della Legge di Divorzio, stabilendo che l’assegno divorzile deve rispondere a criteri equo ordinati di natura assistenziale e perequativa.
In parole povere, il coniuge che è titolare di un assegno di mantenimento riconosciuto dal Giudice della separazione, dovrà, nel giudizio di divorzio, dimostrare altri presupposti, che non hanno più a che fare con il tenore di vita goduto durante il matrimonio. Spetterà l’assegno divorzile solo al coniuge che ha visto deteriorarsi la propria posizione economica in conseguenza del divorzio, in quanto non ha potuto raggiungere gli stessi traguardi del coniuge e non è in grado di appianare, per motivi legati all’età, alla salute e alla capacità lavorativa, la disparità con i propri mezzi, avendo dovuto occuparsi della famiglia in via esclusiva, ossia anche per la parte spettante all’altro coniuge.
Diventa rilevante, inoltre, la presenza o meno di figli, il cui accudimento ha assorbito il coniuge debole, nonché la durata del matrimonio che dà la misura dell’apporto fornito nel tempo dal coniuge richiedente. Si comprende agevolmente che l’assegno divorzile ha il preciso scopo di evitare rendite parassitarie, essendo volto a perequare quelle situazioni in cui l’inadeguatezza dei redditi del coniuge richiedente derivi da una scelta condivisa dei coniugi durante la loro convivenza matrimoniale, finalizzata alla ripartizione dei ruoli all’interno della famiglia.
In ogni caso, l’assegno divorzile, contrariamente a quello di mantenimento, non sarà commisurato al pregresso tenore di vita.
Ma non sarebbe il caso di rendere legittimi gli accordi prematrimoniali? Del resto, se la scelta operata dai coniugi in costanza di matrimonio determina il futuro assetto economico in sede di divorzio, perché mai attendere la fase patologica della relazione per dirimere conflitti, che sarebbe semplice evitare a monte, con pattuizioni sottoscritte nella fase fisiologica della relazione stessa?
Ai posteri l’ardua sentenza!