Ero solo una bambina quando mia nonna, la sera del 23 giugno, prima di andare a dormire, infilava tre fave sotto il cuscino di noi piccini, una con la buccia, una con il picciolo e una sbucciata totalmente, che, al mattino seguente, svegliandoci, avremmo dovuto afferrare nella manina per scoprire se il futuro sposo, o la sposa destinata dalla vita, sarebbe stata ricca o povera. La fava vestita era il buon matrimonio ricco, la nuda prediceva che un povero in canna ci avrebbe atteso all’altare.
In adolescenza, in vacanza a Vieste nella magica notte che celebra il solstizio, l’anziana donna che ci ospitava nella casa del mare mi fece rompere un uovo per far cadere il solo albume in un bicchiere pieno d’acqua che, al risveglio, ci avrebbe consegnato un disegno che rappresentava il mestiere del futuro sposo.
In questa notte speciale dell’anno, conosciuta in tutta Europa come la notte delle streghe, le credenze pagane legate al solstizio d’estate, i riti propiziatori legati al ciclo agricolo e alla festa di Litha e le tradizioni cristiane legate al culto di San Giovanni e del battesimo con l’acqua caricata dallo Spirito Santo, si fondono e continuano a mantenere in vita antichi rituali di veggenza, protezione e fertilità.
Era usanza diffusa nelle campagne, per i contadini, accendere fuochi su cui saltare uniti per saldare legami d’amore e ancora oggi, in alcune zone del sud Italia, si dice “fare il Sangiovanni” per indicare la designazione di padrini e madrine di battesimo e di cresima, che custodiranno i figliocci e le figliocce a vita.
Le piante, consacrate dalla “sacra rugiada degli Dei”, si caricano, in questa notte che è un ponte tra mondi visibili e invisibili, di energie potenti.
Raccoglierle per metterle in una bacinella d’acqua pura, esporle alla luce della luna dopo aver recitato sulla loro bellezza delicata una preghiera di protezione, fa sì che i fiori e le foglie rilascino nella notte tutti i loro poteri all’acqua che potrà essere filtrata e conservata in una bottiglia di vetro nel mattino di festa.
Lavarsi il viso e gli occhi, passarla sui polsi quando la paura ci assale, usarla per segnare croci di benedizione invocando protezione in momenti di ansia o pericolo, benedire le persone amate segnandone la fronte, sono solo alcuni degli usi possibili di questa magica pozione di natura. Un’acqua di benedizione e rinascita, un rituale che ci ricorda il potere trasformativo della natura quando ci colleghiamo ad essa aprendo senza paura il nostro cuore.
Iperico, lavanda, malva, petali di fiori profumati, sambuco, menta, salvia, rosmarino, verbena, finocchio selvatico e ogni erba che dopo il tramonto si offre alla nostra vista in luoghi non contaminati, custodiscono il segreto di questo potere.
Dedicarsi alla raccolta gentile e attenta, lasciandosi accarezzare dalla notte, se non è un atto di magia è certamente un esercizio di mindfulness che ci immerge nella bellezza del creato di cui siamo parte unica.
Un contatto fatto di grazia, in cui il rumore dei nostri passi è uguale al frusciare delle foglie, il suono del nostro respiro assomiglia alla brezza che spira nella sera calmando il cuore che dimentica così i suoi affanni e prova ad immaginare giorni migliori.
(foto dal web)