Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un nostro concittadino a commento delle manifestazioni pro Palestina del primo weekend di ottobre:
“Sono un bitontino che da quasi tre decenni, per ragioni di lavoro, è costretto a spostarsi sul territorio nazionale, eleggendo via via domicilio nelle sedi presso cui è stato comandato dall’alto della propria Amministrazione. Tra queste sedi, importanti città metropolitane, prima fra tutte Roma. Posso testimoniare di aver vissuto da vicino alcuni grandi eventi di piazza, scioperi, manifestazioni, cortei, che complicano la vita di tutti, residenti, lavoratori, studenti, famiglie. Ricordo che a Roma nelle giornate di sciopero generale, per recarmi in ufficio, qualora avessi trovato un taxi, dovevo accollarmi una tariffa di quasi 30 euro. Per carità, non ho nulla contro il diritto di manifestare in piazza o contro il sacrosanto diritto di sciopero, né sarei tentato di cedere alla comoda demagogia e dietrologia quando mi fanno notare che capitano tutte al venerdì o al sabato, parliamo di diritti e libertà di rango costituzionale, il cui esercizio è presidiato da precisi limiti, garanzie e tutele. Ed è proprio questo il punto. Possiamo parlare di sciopero legittimo o di manifestazioni di piazza legali con riferimento agli eventi pro Palestina del weekend? Lo sciopero generale indetto dalla CGIL è stato illegittimo, lo ha detto chiaramente la Commissione di garanzia sugli scioperi, per violazione dell’obbligo legale di preavviso. Organizzato così all’ultimo momento, sull’onda emotiva, trasformandolo in un mezzo di lotta politica anziché di contrattazione, l’abuso o l’uso distorto del diritto di sciopero rischia di minare la coesione sociale, ledendo la libertà di chi non vi partecipa. Pur riconoscendo l’importanza storica dello sciopero come mezzo di rivendicazione, è decisivo garantire che sia esercitato in modo responsabile e conforme ai principi di libertà individuale e contrattuale. Solo così potrà continuare a essere un diritto legittimo, efficace per migliorare le condizioni di lavoro senza ledere i diritti altrui o compromettere il funzionamento della società. E che dire di alcune Piazze di sabato? In quanti casi sono state abusate? In quanti casi le azioni di alcuni dei partecipanti (fortunatamente una minoranza) hanno superato i limiti della protesta pacifica e violato la legge? Basta scorrere le più recenti statistiche dei feriti tra le Forze di polizia, le statistiche dei danneggiamenti a proprietà private e pubbliche, quelle dei blocchi stradali, autostradali, ferroviari ad impedire il normale svolgimento delle attività e il diritto di movimento dei cittadini. Ecco, è stato bello vedere manifestare milioni di persone per una nobile causa, assistere al risveglio delle coscienze, ma poi – dico ad alcune minoranze o frange di quelle stesse piazze – non ti puoi permettere di sfilare per la pace inneggiando alla violenza, di portare in piazza le sofferenze di un popolo e strumentalizzare politicamente quelle stesse sofferenze altrui, di issare una bandiera ed ammainarne altre, di costruire ponti erigendo barricate. Non si tratta di negare le piazze né di criminalizzare il dissenso, ma di fare luce sui meccanismi che ne distorcono il senso. Perché, come dice qualcuno, la vera minaccia non è la protesta: è il cortocircuito tra rabbia autentica e manipolazione organizzata. Ed è lì che si gioca la tenuta democratica di un Paese”.
(Immagine dal web)

















