Nei giorni scorsi la parola “rispetto”, indicata da Treccani come termine dell’anno 2024, è stata scelta come tema centrale nell’esame di maturità del 2025, per promuovere un valore etico fondamentale nelle relazioni sociali e nella convivenza civile; al contempo, diveniva virale sui social la denuncia di una mamma che ha raccontato di essere stata ripresa da un passeggero, urtato dal figlio mentre stavano scendendo dal treno: la colpa della mamma? Aver “permesso” ai suoi figli di parlare e muoversi durante il viaggio.
La morale della favola è che mentre a parole propugniamo il rispetto, nei fatti, cioè in un mondo segnato da crescenti tensioni sociali, la mancanza di rispetto – verso i bambini, le donne, le minoranze, le istituzioni, gli animali – è spesso alla radice di fenomeni di violenza e intolleranza. Se ci fate caso, sembra che la soglia di tolleranza sia in picchiata: e non solo con i bambini, anche tra adulti.
Il malessere infatti non si ferma all’infanzia: litighiamo sui social, nel traffico, in famiglia. Viviamo immersi in una tensione costante, e la nostra soglia di sopportazione si abbassa sempre di più. Non tolleriamo più nemmeno l’energia naturale dell’infanzia, che diventa così un bersaglio facile della nostra frustrazione. Tollerare non significa subire, ma imparare a convivere con gli altri. Significa accettare che i bambini non siano perfetti, che siano vivaci, rumorosi, a volte imprevedibili. Il nostro compito, da adulti, non è spegnerli, ma accompagnarli. Per farlo, però, dobbiamo prima di tutto recuperare la nostra capacità di autoregolazione, di empatia, e di responsabilità.
Ecco allora che inserire il tema del rispetto tra le tracce dell’esame di maturità non è un caso. Il richiamo a questo valore si rivolge in modo particolare alle nuove generazioni. Il lavoro intellettuale che si chiede agli studenti consiste nel riflettere su come il rispetto possa diventare una pratica quotidiana e un principio guida nella società. Così ogni ragazzo può assumere consapevolezza del ruolo che abitualmente ricopre nelle relazioni con gli altri, riconoscendo la centralità del rispetto anche nelle piccole azioni. La scuola si fa luogo in cui la parola si fa gesto, diventando una risposta utile a tensioni che attraversano la vita pubblica dei cittadini.
La parola rispetto resta al centro del dibattito pubblico, riacquistando spazi di importanza e ricordandoci che il modo in cui comunichiamo determina la qualità della convivenza civile.
Fare del “rispetto” un valore consapevole significa fermare la deriva dell’indifferenza e dell’intolleranza. Ripensare il rapporto con l’altro, con la società, con la natura, e infine anche con se stessi. Rispetto non è una parola gentile o buonista: è una pratica, un atteggiamento, un progetto di vita e, forse, il fondamento di una convivenza futura più umana e proficua.
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