Il weekend scorso è stato un disastro dal punto di vista sportivo, vista la pessima performance della Nazionale di calcio che, presa a pallonate dalla Norvegia in casa loro, vede ormai lo spettro dell’ennesima mancata partecipazione diretta (sarebbe la terza) ai prossimi mondiali di calcio. La sconfitta immeritata di Sinner non ha contribuito a sollevare gli animi dei 60 milioni di calciofili italioti, memori dello sconforto provato negli ultimi tornei mondiali disputati senza il nostro tricolore e senza riecheggiare le note dell’inno di Mameli.
Molto probabilmente, vista la situazione di classifica del nostro girone che ci relega al secondo posto, ci giocheremo l’accesso indiretto al torneo mondiale attraverso l’ennesimo spareggio secco, da dentro o fuori, con altra nazionale. Ma lo psicodramma collettivo, già ai livelli di guardia, si è arricchito dell’ulteriore episodio del licenziamento del Commissario Spalletti da tecnico della Nazionale e della ricerca di un nuovo allenatore: impresa non facile, specie se avviata da un giorno all’altro, senza una programmazione per tempo di un profilo idoneo. Peraltro, la prima opzione, Claudio Ranieri, ha già comunicato la sua indisponibilità all’incarico, opponendo un netto rifiuto che segue di qualche giorno quello di Acerbi che, reduce dai fasti e dalle fatiche della Champion, si è rifiutato di partire alla volta della Norvegia, si è sfilato, non sentendosi considerato.
Il rifiuto della maglia azzurra viene sempre vissuto come un oltraggio, non è un obbligo ma si manifesta come una diserzione: è tutto già successo, ma adesso succede con sempre più frequenza, anche negli altri sport. Lo stesso Julio Velasco, c.t. del volley, ha riferito del rifiuto della convocazione ricevuto da 4 giocatrici, commentando testuale “per me la porta è chiusa. Un no è sempre un no e la Nazionale è speciale, non è un club”.
L’ampollosa retorica di chi giura che giocare in nazionale è il sogno di qualsiasi giocatore, non vale più. Tra l’altro, Spalletti nei giorni precedenti la gara ha dovuto anche registrare l’ingresso nel pianeta calcio di un costume diffuso a livello aziendale, il tentativo di alcuni campioni di marcar visita, tant’è che agli organi di stampa, rilasciava la seguente dichiarazione: “Non è possibile che su 25 giocatori, ci siano 18 con problemini e dolorini”.
Forse la mediocrità della Nazionale è lo specchio della società attuale, al giorno d’oggi sembra di respirare un’atmosfera generale di una mediocrità diffusa. Cosa è la mediocrità, se non l’inettitudine, la mancanza di aspirazioni, il non riuscire ad avere per se stesso, per la propria comunità, per il proprio paese una visione, una prospettiva a lungo termine.
Resistere per uscire dalla mediocrità non è certo semplice. Ma forse vale la pena di tentare. Siamo chiamati ad essere testimoni dell’inquietudine, non siamo destinati a naufragare sugli scogli della mediocrità. Con questo spirito forse il nuovo coach della Nazionale di calcio dovrà ridare entusiasmo all’ambiente, motivare giocatori viziati e strapagati che nelle ultime apparizioni giochicchiavano, senza dare l’impressione di sudare la classica maglietta.
L’attaccamento ai colori, l’inno cantato a squarciagola, il mettere da parte qualche acciacco fisico non invalidante, di tutto questo la piazza italiana è affamata, di tornare a quella Nazionale del 1982, che diede una scossa all’intero Paese.
(foto dal web )