“Estate, tempo di amarcord” è un’espressione che evoca la nostalgia e la rievocazione di ricordi legati all’infanzia e all’estate, prendendo spunto dal celebre film di Fellini. D’altronde, “Amarcord”, deriva dalla frase romagnola “A m’arcord”, che significa “io mi ricordo”.
Al volger della bella stagione ci assale un senso di nostalgia per il passato, per un’infanzia spensierata e per luoghi e persone che non ci sono più o che sono cambiati. Forse l’estate, con la sua temperatura calda, a volte rovente, induce ad oziare in queste memorie, che sono molto apparentate ai sogni, entrambi infatti si nutrono di immagini emotive che danno corpo a sensazioni, desideri, vibrazioni a volte appartenenti ad un’epoca passata.
In una pigra serata d’estate, quando il tepore del clima e la dolcezza dei colori conciliano parole leggere e balsamiche, ecco germogliare pensieri danzanti che partono da un tempo lontano. La musica da sottofondo è quella del mitico “jukebox”, simbolo di una generazione che negli anni ’60 e ’70 si riuniva intorno a questo particolare strumento per ballare, oltre che ascoltare: con una moneta da 50 lire si sceglieva un brano selezionando lettera e numero, il 45 giri in vinile meccanicamente veniva prelevato e subito partivano le prime note.
Era la vacanza di una volta, definita “villeggiatura”.
Chiusa la scuola, chiuse le fabbriche, si partiva lasciandosi alle spalle un inverno intero (da qui il cd. “grande esodo”), già assaporando quello che sarebbe stato il periodo vacanziero. La vacanza era molto più lunga perché si partiva già nel mese di luglio per fare ritorno a metà settembre per l’inizio della scuola, che avveniva rigorosamente il primo ottobre. In villeggiatura si andava con tutta la famiglia, i viaggi erano poco considerati, lasciando così spazio ai propri figli di vivere con i loro amici i classici “falò”, le feste in spiaggia, i bagni notturni e all’occasione brevi gite fuori porta. La stagione estiva vedeva la riapertura delle stesse case, la prenotazione della stessa pensione a gestione familiare, il solito ombrellone nello stesso Lido. Dagli anni ’60 in poi il “boom economico” permise ai più di andare in vacanza e la nascita delle piccole utilitarie diede a molti la possibilità di viaggiare eludendo le lunghe maratone dei treni.
Ci si accontentava di poco, l’importante era andare in vacanza, a partire per primi erano le mamme con i bimbi, mentre i padri li raggiungevano di consuetudine al venerdì. Si potrebbe dire che il mare era il luogo più vissuto, la sera non ci si spostava e si usciva nei dintorni per una passeggiata al fresco. Si arrivava al mattino presto nella spiaggia “libera” e dalle piccole utilitarie usciva di tutto per l’allestimento, l’ombrellone, la tenda che veniva posta intorno, le sdraio e tutto il necessario per i bambini, salvagenti, materassini, maschere, pinne e secchiello. I costumi per le signore erano rigorosamente coprenti, per le più giovani anche il due pezzi a vita alta con reggiseno ben coprente, non mancavano gli zoccoli in legno, i grandi cappelli e le borse in paglia.
Per chi già poteva permettersi di prenotare allo stabilimento balneare, non poteva mancare l’uso della classica “cabina” in legno e poi la “rotonda”, affollata nelle serate estive, con la musica dei tormentoni dell’estate proveniente dai vari jukebox.
E poi ancora una sana rinfrescata con le bibite d’allora, l’orzata, la cedrata, la limonata, ai bambini i ghiaccioli con lo “stecco”. Ma il momento “clou” era quello del pranzo, non mancava infatti, la frittata di pasta, la cotoletta o la straordinaria pasta al forno e poi, tutti a riposare; i più piccoli, col tradizionale cappellino, a giocare con la sabbia per far passare le “tre ore”, regola ferrea per poter fare il bagno dopo la digestione. Ed un ispirato Sergio Endrigo dell’epoca così cantava e decantava:
“Era d’estate e tu eri con me
Era d’estate, poco tempo fa
Ora per ora noi vivevamo
Giorni e notti felici senza domani”
(Foto dal web)