“Bitontino/a dell’anno”, seconda edizione. La formula è sempre la stessa, raccontare le storie dei concittadini che si sono distinti nel corso degli anni secondo i criteri che comprendono: attività benefiche e di volontariato, iniziative a favore del prossimo, tesi di laurea che valorizzano il patrimonio storico-artistico della città, e progetti rivolti alla comunità. Invitiamo tutti i cittadini a segnalare figure meritevoli, contribuendo così a rendere la nostra città ancora più vivace e attiva. Uno al mese, fino al prossimo maggio 2026.
Francesca Ricciardi, in arte Cekka, ha varcato il portone del carcere minorile “Fornelli” di Bari. Lo ha fatto con rispetto, coraggio e una storia nel cuore. Quella di chi ha raccolto un’eredità affettiva e artistica per portarla dentro uno dei luoghi più duri, ma anche più bisognosi di bellezza.
Bitontina, rapper con una lunga storia musicale, Cekka è la prima donna ad aver guidato un laboratorio di musica rap in un penitenziario minorile. Ma il progetto non è nato con lei. Lo aveva scritto anni fa Nicola Antonacci, conosciuto nel mondo del rap come Walino, suo compagno di vita, artista affermato, scomparso prematuramente nel luglio 2023.
Quando è arrivato il via libera per la realizzazione del progetto, a firmarlo è stata la cooperativa barese Il Nuovo Fantarca, diretta da Rosa Ferro, da anni attiva nelle carceri con laboratori di teatro, cinema e musica. «Quando ho avuto l’ok dal Garante regionale – racconta Ferro – ho chiamato la mamma di Nicola. E lei mi ha detto: “Non ti preoccupare, ci penserà Francesca”».
Così è nato “Rhapsody – Musica rap in carcere”, un anno di lavoro dentro le mura del Fornelli. Undici i brani scritti dai giovani detenuti, su type beats originali, registrati con il supporto di Claudio La Piana (Kifkiffen), Marco De Santis (Redshot) e Amedeo Lori (Fatgun).
«Mi hanno accolta come una sorella maggiore», racconta Cekka. «Alcuni avevano appena 14 anni. Mi hanno raccontato le loro storie, la confusione che si portano dentro. E abbiamo provato a metterla in musica. Ci sono testi sull’amore, le stelle viste da dietro un vetro, ma anche su reati, droga, errori. Alcuni brani sono stati pure un po’ celebrativi – sorride – ma fa parte del percorso».
Non si è trattato solo di un laboratorio. Per Cekka è stata una forma di restituzione: un modo per portare dentro quelle mura la visione e l’anima di Walino, e trasformarla in qualcosa di vivo, che potesse toccare altre vite.
«Non si entra in carcere con l’idea di salvare qualcuno. Ma forse si può far nascere un dubbio, una speranza, un’alternativa. In uno dei ragazzi ho visto qualcosa di speciale. Ha detto che vuole continuare, fare video, vivere di musica. È davvero bravo. Chissà… magari potrà davvero cambiare strada».
A Bitonto, che ha cresciuto Cekka e le ha dato le prime parole da scrivere e da cantare, ora resta anche il segno di un percorso che ha portato lontano. In un carcere, tra voci giovani e vite sospese, si è compiuta una piccola rivoluzione: il rap come possibilità di cambiamento.