Dall’avv. prof. Grazia Coviello per Bitonto in Testa, riceviamo e pubblichiamo.
Mentre Bari, la vicina chiassosa e rampante, si vanta dei suoi 7 milioni di passeggeri e celebra l’ennesimo record turistico, Bitonto resta fedele alla sua missione: non essere trovata.
La “Città dell’Olio”, con un centro storico che farebbe impallidire molte capitali europee, è riuscita, grazie a uno sforzo amministrativo degno del miglior anti-influencer, a trasformare la sua eccezionalità in una virtù del tutto inutile: l’invisibilità.
Non è un fallimento, è un’arte: l’arte di nascondere un patrimonio.
Il vero capolavoro di questa amministrazione è l’isolamento logistico. L’aeroporto internazionale di Bari è la porta d’ingresso per migliaia di turisti. Bari ha costruito un ponte di ferro e acciaio (il treno), per portarli direttamente al suo centro.
Bitonto, invece, offre al visitatore stanco e fiducioso la strategia del percorso a ostacoli.
Niente navette dirette, niente segnaletica esplicita.
Il messaggio è chiaro: “Se vuoi la Cattedrale, devi sudare. E possibilmente pagare un taxi salato”.
Si costringono i turisti a costosi passaggi intermedi, distruggendo sul nascere il potenziale di migliaia di day-trip. È una forma sottile, ma efficace, di dissuasione turistica.
La nostra Cattedrale Romanica?
È tra le più belle della Puglia, un manuale di storia dell’arte a cielo aperto.
Il suo fascino, per l’amministrazione, sta tutto nel fatto che nessuno la conosca. Mentre Bari spende in spot internazionali per la Basilica di San Nicola, Bitonto riserva la sua Cattedrale a una ristretta élite di fortunati storici dell’arte e a qualche turista per caso con un GPS particolarmente aggressivo. Promozione? Branding globale? Ma per carità!
La grandezza di Bitonto risiede nel non competere, nel sussurrare i suoi tesori anziché gridarli.
Un vero “tesoro isolato” per decreto.
Bitonto si fregia del titolo di Capitale dell’Olio EVO DOP.
In un’epoca in cui l’enogastronomia è la nuova religione del turismo, questo è un marchio d’oro.
Cosa ha fatto l’amministrazione? Nulla.
L’Oleoturismo è un fantasma. Manca tutto: percorsi ufficiali verso i frantoi storici, segnaletica multilingue, eventi annuali che richiamino l’attenzione internazionale.
I turisti slow e gourmet (quelli con i portafogli gonfi) passano oltre, ignari che a pochi chilometri si cela il paradiso dell’olio. Perché creare percorsi, quando si può lasciare tutto nell’affascinante ambiguità dell’improvvisazione privata?
Il mondo chiede esperienze sostenibili: cicloturismo, passeggiate storiche, immersione nella natura (Lama Balice è lì, a portata di mano). Ma Bitonto NO. L’amministrazione si è dimostrata un freno instancabile, trasformando la natura ideale per lo slow tourism in un palcoscenico per il triste mordi-e-fuggi. L’unica strategia chiara è quella di delegare la promozione ai privati, i quali si scontrano ogni giorno contro un muro di indifferenza logistica e istituzionale.
In sintesi, il problema di Bitonto non è la mancanza di bellezza, ma una visione miope che rasenta l’autolesionismo.
La Città, da TROPPI ANNI (circa dieci), non sconta una sfortuna, ma una scelta: quella di tenere il suo splendore chiuso a chiave. E mentre il resto della Puglia incassa, Bitonto può godersi la sua quiete. Una quiete che ha il rumore sordo del potenziale sprecato.
Bitonto: la Città che meriterebbe il turismo di massa, ma ha preferito l’isolamento di lusso (per pochi intimi).

















