DI DAMIANO MAGGIO, SOCIOLOGO
C’è una Bitonto silenziosa che si espande, invisibile al clamore delle sagre e delle conferenze stampa. Non grida, non protesta, non fa notizia sui giornali. Eppure, esiste. È fatta di stanze troppo grandi per un singolo respiro, di palazzi solcati da scale vuote di voci, di vite che rallentano il passo nei quartieri storici e nelle frazioni. È la Bitonto che invecchia. E invecchia sola.
Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istat, ha puntato i riflettori su una realtà che ci è fin troppo familiare: il 36,2% delle famiglie italiane è composto da una sola persona, una percentuale destinata a raggiungere il 40% entro il 2043. A Bitonto, dove la popolazione anziana cresce inesorabilmente mentre i giovani emigrano alla ricerca di orizzonti più ampi, questa solitudine è già scolpita nei volti e respirata nelle case dei nostri quartieri.
Non si tratta di una scelta di libertà, ma di un destino ineluttabile, segnato dalla vedovanza, dall’isolamento relazionale, dalla distanza generazionale. Troppi anziani vivono in condizioni di fragilità crescente, senza reti familiari solide, senza servizi continuativi, senza una voce che si faccia sentire.
Una crisi silenziosa, ma strutturale e profonda che non è una mera questione di numeri, ma un problema di comunità, di tessuto sociale che si lacera. Anche a Bitonto, si nasce sempre meno e si parte sempre di più. I giovani guardano a nord, all’estero, a realtà che promettono opportunità di crescita che qui sono negate. Intanto, le famiglie mononucleari proliferano, e i nuclei multigenerazionali, un tempo pilastri della nostra società, diventano sempre più rari.
Come ha sottolineato Chelli, le risposte devono essere chiare, coraggiose e lungimiranti: incentivare la natalità e gestire i flussi migratori con consapevolezza e visione. Anche a livello locale, questo significa investire in politiche familiari, sociali e urbanistiche capaci di trasformare Bitonto in una città che trattiene i suoi figli e accoglie chi la sceglie. Una città dove restare diventi una scelta, non una rinuncia.
A noi sociologi, i professori ci hanno insegnato che “una comunità che invecchia senza un progetto è destinata a svuotarsi” e che non basta registrare l’aumento della popolazione anziana; dobbiamo interrogarci su come vivono i nostri anziani, quali sono i loro desideri, quale ruolo possiamo e dobbiamo restituire loro nella società. Bitonto è ricca di cortili, parrocchie, piazze, botteghe: luoghi che un tempo pulsavano di vita comunitaria e che oggi rischiano di spegnersi, inghiottiti dal silenzio e dall’indifferenza.
L’unico vero antidoto alla solitudine è indiscutibilmente la relazione, il legame umano. Servono spazi condivisi, occasioni di incontro intergenerazionale, una regia pubblica che sostenga e potenzi l’azione fondamentale del terzo settore e del volontariato. I servizi sociali, per quanto importanti, non bastano se rimangono isole; serve una rete civile diffusa, capillare, in cui ogni cittadino si senta responsabile e partecipe.
Zygmunt Bauman ha più volte fatto notare che “la crisi più profonda della nostra società è la crisi della prossimità” ed io, nel mio quotidiano lavoro ne ho fatto tesoro, imparando che la società si salva non quando moltiplica gli algoritmi, ma quando ricorda come ci si guarda negli occhi.
Bitonto, a mio parere, ha la possibilità di trasformarsi in un laboratorio di innovazione sociale incentrato sull’invecchiamento attivo e sulla lotta alla solitudine. Abbiamo già esperienze positive: associazioni che offrono visite domiciliari, parrocchie che aprono i loro spazi, centri anziani dinamici, servizi di assistenza domiciliare che cercano di colmare le lacune.
Ma è necessario un salto di qualità, un cambio di prospettiva. Dobbiamo osare pensare in grande, anche partendo da piccole azioni concrete. Coabitazione solidale, cohousing intergenerazionale, patti di vicinato, assistenza diffusa, sportelli itineranti, spazi civici di ascolto e orientamento: sono tutte iniziative possibili, modelli che altrove hanno già dimostrato la loro efficacia e che qui possiamo adattare e personalizzare, se sapremo lavorare in sinergia e con una visione comune.
Mi faccio una domanda: … noi, ce ne siamo realmente accorti?
A Bitonto, abbiamo davvero preso coscienza di quanto la solitudine stia diventando la malattia sociale più insidiosa del nostro tempo?
Ci siamo mai chiesti chi vive negli appartamenti accanto ai nostri, o nelle case dei quartieri più periferici e dimenticati?
La demografia non è un freddo grafico statistico: è fatta di persone in carne e ossa, di silenzi assordanti, di opportunità perdute o create.
E se non affrontiamo questa sfida oggi, con coraggio e determinazione, domani ci ritroveremo a vivere in una città più anziana, certo, ma soprattutto più vuota di relazioni autentiche.
Vuota di futuro.