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Home » L’incendio del salottificio Flep. Una strage di mafia rimasta impunita

L’incendio del salottificio Flep. Una strage di mafia rimasta impunita

Tre vigili del fuoco persero la vita nel rogo, probabilmente scatenato da un ordigno intimidatorio

Michele Cotugno by Michele Cotugno
23 Aprile 2018
in Cronaca
L’incendio del salottificio Flep. Una strage di mafia rimasta impunita
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Abbiamo raccontato, nelle scorse settimane, la storia tragica della Divania, azienda un tempo prospera di cui oggi non rimane che un rudere. Ma non è di questo che, oggi, vogliamo parlare. Quel rudere nasconde anche un’altra storia, ben più tragica. Lì, prima della Divania, c’era il salottificio Flep, azienda fondata sempre da Francesco Saverio Parisi. Tra il 24 e il 25 giugno del 1991, si verificò un incendio che costò la vita a tre vigili del fuoco. Lo raccontò, nel numero di giugno-luglio ‘91 del “da Bitonto”, Salvatore Bonasia, attuale segretario generale del Comune di Bitonto, che fino a qualche mese prima, era vigile del fuoco volontario ausiliario in servizio di leva e conosceva due delle tre vittime.

Sul posto giunse una prima squadra. Ma la vastità dell’incendio fu tale da rendere necessario il supporto di un’altra squadra. Inizialmente l’incendio fu quasi domato, ma, poco dopo l’una, le fiamme riacquisirono vigore. Le alte temperature avevano indebolito la struttura, che crollò, travolgendo i pompieri.

«Non ci si accorse subito della tragedia. I rumori delle fiamme e delle autobotti mascheravano urla e lamenti. Ci sgolammo per richiamare l’attenzione» raccontano alcuni agenti che erano in servizio e che descrivono quell’esperienza come la peggiore di tutta la carriera in Polizia.

Il primo ad essere ritrovato fu Donato Musto, 20 anni, di Rionero in Vulture, che da quattro mesi era in servizio militare di leva come vigile volontario ausiliario. Fu schiacciato da una trave. Trasportato al Policlinico di Bari, morì poco dopo.

Più tardi vennero trovati, i cadaveri di Ignazio Minervini, 33 anni, e Vito Pizzimenti, 30 anni. Uno dei due capisquadra, Matteo Florio, perse il piede destro. Altri subirono ferite lievi.

«Poco prima parlavamo con le vittime – ricorda il poliziotto – Una di loro il giorno dopo sarebbe partito per un campeggio con la famiglia».

Sono passati 27 anni senza che si siano trovati colpevoli. Il rogo fu doloso, forse causato da un ordigno piazzato come intimidazione a fini estorsivi, che avrebbe poi incendiato il materiale infiammabile nel salottificio. Le indagini, purtroppo, non produssero elementi per il rinvio a giudizio degli indiziati.

L’allora sottosegretario agli interni Valdo Spini arrivò a Bari per le commemorazioni. Ci fu un’interrogazione alla Camera, da parte del Pds, al Ministro dell’Interno Vincenzo Scotti. I firmatari chiedevano quali provvedimenti si intendessero adottare contro il dilagare della criminalità nel barese e in Puglia. Lo stesso fece il Psi in Consiglio Regionale. In quel periodo, infatti, i gruppi criminali bitontini iniziarono a crescere, diventando criminalità organizzata. Utilizzando la violenza e le bombe, come quella che nel dicembre dello stesso anno fu piazzata davanti al Commissariato di Polizia, forse come risposta alle attività repressive.

Nel dicembre 2014, ai tre furono intitolate le sedi dei distaccamenti di Carrassi e Fiera e l’Aula Formazione della sede centrale del comando di via Tupputi a Bari. Matteo Florio, rimasto mutilato, fu insignito della Medaglia di Bronzo al Valore Civile.

 

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