Di Michela Rubino
C’è un peso che non si vede, ma si sente. Vive nelle stanze vuote di chi ha perso la propria voce, nei sorrisi spenti, nei passi accelerati lungo strade buie. È il peso della violenza sulle donne, un’ombra che si estende ben oltre le mura domestiche, insinuandosi in ogni aspetto della società.
Il 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, non è solo una giornata: è un grido contro quel peso, una sfida al silenzio che lo alimenta.
Questa consapevolezza è stata al centro dell’incontro “Il silenzio deve tacere!” che ha animato lunedì 25 novembre Piazza Aldo Moro.
Organizzato dall’associazione di promozione sociale “La Voce delle Donne”, con il coinvolgimento della Fidapa, dell’associazione “Città dell’uomo” e dell’Università della Terza Età “Domenico Pastoressa“, l’evento è stato un mosaico di racconti, danza, musica e testimonianze, pensato per scuotere le coscienze e ricordare che la violenza non è mai un dramma isolato: è un problema di tutti, che inizia quando scegliamo di voltare lo sguardo. Quando, davanti a una lite altrui, pensiamo: “Non mi riguarda”. Quando una battuta sessista ci sembra innocua.
Ad aprire la serata è stata Cecilia Petta, presidente de “La Voce delle Donne”, le cui parole hanno tracciato la direzione del dibattito: “Mi piace considerare questo spazio che abbiamo creato come uno spazio di resistenza,” ha detto, “all’interno del quale ognuno di noi deve essere consapevole della responsabilità sociale e culturale che è alla base di questo fenomeno”.
Il suo discorso ha trovato eco nei saluti del sindaco Francesco Paolo Ricci, che ha voluto lanciare due messaggi: “Vado controcorrente e dico che oggi non è nulla: da domani bisogna fare la lotta contro la violenza sulle donne, che non va ricordata solo il 25 novembre. Sforziamoci affinché da domani fino al prossimo 25 novembre ci sia maggiore attenzione su queste forme di violenza. E alle donne voglio dire: non abbiate paura di rimanere da sole. Parlate con i vostri genitori, con un amico, con un insegnante. Siete sole solo quando avete accanto qualcuno che vi impedisce qualsiasi forma di libertà”.
Marianna Legista, vicesindaco e assessora alle pari opportunità, ha ribadito l’impegno dell’amministrazione, anticipando l’apertura di un nuovo sportello a Mariotto: “Ci sono state nel 2023 più di 100 accessi ai nostri sportelli: vuol dire che 100 donne nella nostra città e a Palo del Colle hanno subito violenza. La nostra prevenzione arriva nelle famiglie, nelle scuole: sensibilizzare il più possibile è il nostro obiettivo”.
La performance dell’Accademia D.A.S. di Bitonto, diretta da Clelia Caiati e Rita Nacci, è stata un momento di grande impatto visivo ed emotivo. Lo spettacolo, intitolato “Chiamala con il suo nome“, ha attraversato simbolicamente diverse narrazioni di violenza, da una rilettura del mito di Medusa alla dolorosa testimonianza dell’attrice Franca Rame, fino a una storia d’amore sfociata in tragedia. Le ballerine hanno espresso non solo il dolore delle vittime, ma anche la lotta e la forza per essere riconosciute come persone, con un nome e una dignità.
A seguire, le socie dell’associazione “La Voce delle Donne”, tra cui Nuccia Saracino, Mariella Pastoressa, Cecilia Petta e Anna Schiraldi, hanno letto racconti che hanno dato voce a storie di resistenza e rinascita, mentre due giovani studenti del Liceo Scientifico Galileo Galilei hanno regalato un intermezzo musicale, sottolineando il ruolo delle nuove generazioni nel costruire un futuro diverso.
Un futuro diverso, quello che Melania Bevilacqua, scrittrice e “sopravvivente” alla violenza – come si definisce lei stessa – , ha chiesto più volte durante il suo intervento, condotto dalla socia Giulia Colasuonno. “Quando certi semi del male vengono piantati, è una lotta continua. Ma dobbiamo essere monito per le nuove generazioni ed esempio per chi sta vivendo la violenza. Siamo sole solo se scegliamo di esserlo”, ha dichiarato Bevilacqua. “La violenza ha uno scopo: ottenere dominio sull’altro. Ci hanno insegnato a essere accomodanti, ma dobbiamo imparare a dire no con fermezza. La catena dell’indifferenza va interrotta, altrimenti questo domino di dolore e morte non avrà mai fine”. Melania ha poi analizzato il fenomeno della violenza dal punto di vista del maltrattante: “Alla base c’è l’incapacità di metabolizzare un rifiuto. La violenza è una forma di dominio, ma oggi esistono centri per aiutare anche i maltrattanti. È una sfida che riguarda tutti, perché l’indifferenza uccide quanto la violenza stessa”.
Dietro ogni atto di violenza c’è un’idea. L’idea che qualcuno abbia diritto sul corpo, sulla mente, sulla vita di qualcun altro. È qui che si annida la vera battaglia: nelle menti, nelle narrazioni, nelle abitudini. Il linguaggio che usiamo — parole come “raptus“, “dramma familiare“, “gelosia” — non è mai innocuo. Ogni termine che minimizza, giustifica, o romantizza la violenza non fa altro che alimentarla. Ma se fosse accaduto a te? Da che parte stai?
Riflettiamo, allora, su una domanda semplice ma spietata: cosa siamo disposti a fare? Perché la violenza non finisce con una legge, un corteo, o un post sui social. Finisce quando chi sente urla oltre un muro decide di chiamare aiuto. Quando un amico che fa una battuta sessista viene fermato, non assecondato. Quando un’azienda si impegna a non discriminare.
Il 25 novembre è una chiamata all’azione. Non si celebra solo la resistenza delle donne, ma la possibilità di un mondo diverso. Un mondo in cui il silenzio non è più complice, ma diventa terreno su cui si alza, potente, la voce di non ha più paura.
La vera rivoluzione non è fatta di gesti eclatanti, ma di scelte quotidiane che trasformano il rispetto in realtà.