«Lo sport autentico è il contrario di bullismo e oppressione. È formazione, libertà, liberazione. È confronto, rispetto e può essere anche veicolo di inclusione e riscatto. Può tenere lontana la cultura mafiosa dai ragazzi cresciuti in contesti difficili. A Palermo lo sta dimostrando l’associazione ‘Addiopizzo’».
Sono le parole di Davide Grassi, figlio di Libero Grassi, l’imprenditore ucciso dalla mafia, nel 1991, per essersi opposto alle richieste di pizzo. Grassi è stato ospite a Bitonto, per la sesta edizione di “Il diritto in piazza”, quest’anno incentrata sullo sport e sul suo valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico riconosciuto dalla costituzione italiana.
Sul palco del teatro Traetta, Davide Grassi ha raccontato la felice esperienza di “Addiopizzo”, che opera nei quartieri più difficili, spesso terreno fertile per la criminalità mafiosa. Associazione che, nei giorni scorsi, ha ottenuto una vittoria importante: «Ha portato i suoi adesivi contro il racket in un quartiere molto difficile di Palermo e, dopo pochi giorni, tre imprenditori hanno trovato la forza di denunciare. Nel giro di due giorni gli estorsori sono stati arrestati».
«Oltre all’attività di sostegno agli imprenditori si ribellano al racket – continua Grassi, l’associazione porta avanti progetti rivolti ai giovani dei rioni più svantaggiati. Progetti che, attraverso lo sport, insegnano che può esistere una vita diversa e migliore rispetto a quella proposta dalla mafia. L’obiettivo è contrapporre gli insegnamenti positivi dello sport a quelli della mafia, che nega libertà e dignità, imponendo paura e sottomissione».
Per Grassi, il fine ultimo deve essere insegnare ai giovani, attraverso l’attività sportiva, a dare valore a spirito e corpo: «Solo così anche i figli di chi oggi è più fragile cresceranno uomini liberi. E allora sì, avremo fatto il nostro dovere e vinto la nostra battaglia».
L’incontro inaugurale del festival è stato l’occasione per raccontare suo padre e il suo rapporto con lo sport: «Sono stato un privilegiato. Lo sport è sempre stato una parte fondamentale della mia famiglia. Mi ha insegnato a dare tutto in campo, ad affrontare gli avversari fino alla fine, ma anche ad abbracciarli dopo la gara. Sono stato un privilegiato anche nella mia adolescenza: ho vissuto l’inclusione sociale prima ancora che si usasse questa parola. Nel mio quartiere di Palermo, allora periferia con tanti spazi vuoti, era naturale per noi ragazzi della borghesia condividere partite di calcio e gare di bici con coetanei dei vicoli popolari. Non ci chiedevamo se fosse giusto: semplicemente accadeva e portava valore a tutti».
















